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fr. Gaetano La Speme OFMCap

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Capitolo sesto delle Costituzioni

La nostra vita in fraternità

di fr. Gaetano La Speme

Il presente commento vuole presentare una breve antologia su alcuni temi del Capitolo VI delle Costituzioni. Il lettore potrà ritrovare, soprattutto, la riflessione che gli ultimi ministri generali ci hanno offerto. Con il presente lavoro si ha, infatti, la gioia di presentare testi che hanno accompagnato la crescita di molti frati. In un certo senso potremmo dire che è un modo che fa si che l’Ordine stesso, nell’alta espressione dei suoi ultimi Ministri Generali, approfondisca temi che appartengono alla nostra vita. In alcuni passaggi si è, inoltre, accompagnati dalla ricca sapienza della madre Chiesa e del Santo Padre.

Introduzione

Il legame con la Regola Bollata

Il VI capitolo delle Costituzioni è diviso in due articoli: I. l’impegno alla vita fraterna; II. La vita dei frati nel mondo. Molteplici sono i riferimenti alla Regola non Bollata, alla Regola Bollata e al Testamento così come ad altri Scritti di frate Francesco d’Assisi[1]. Vari i legami di questo capitolo delle Costituzioni con i capitoli III; VI, X e XII della Regola Bollata[2]. Se nell’esegesi biblica si è soliti dire che la Bibbia si interpreta con la Bibbia, con le dovute distinzioni, così si potrebbe dire anche delle Costituzioni. Ogni capitolo va letto con uno sguardo che integra gli altri capitoli; tutti insieme si leggono nello spirito della Regola e della spiritualità francescana[3].

La divisione del capitolo in due articoli fa pensare alla vita fraterna intesa sia nel suo rapporto ad intra (tra i frati) e sia nel suo rapporto ad extra (con tutti gli uomini). Entrambe le dimensioni sono vitali. L’una aiuta l’altra a manifestarsi con fecondità.

“La fraternità non è soltanto un dono che noi ci offriamo vicendevolmente: è la nostra maniera privilegiata di annunciare il Regno di Dio! Ciò richiede che ci interroghiamo costantemente circa la qualità della nostra preghiera comune, di come progrediamo nella comprensione reciproca e di come riusciamo a leggere i segni dei tempi nei capitoli locali, della collaborazione nell'apostolato, del vivere la vita fraterna senza avere nulla di proprio, della nostra presenza in mezzo ai poveri e del nostro impegno verso di loro e riguardo a tutti gli altri valori della nostra vita evangelica.”[4]

La struttura del capitolo VI

La nostra vita in fraternità è così sviluppata: il fondamento Trinitario e Cristologico e l’ispirazione francescana (n.88); L’impegno alla vita fraterna (articolo I) si esplicita nella comunione fraterna (n.89), nel vicendevole aiuto (n.90), nella mutua integrazione tra coloro che hanno differenza di età (n.91), nell’assistenza agli infermi (n.92), nella vita fraterna in comune (n.94), nell’osservanza della clausura e nell’accoglienza (n.95). Particolari indicazioni vengono date sull’uso dei mezzi di comunicazione sociale (n.96), sui mezzi di trasporto e i viaggi (n.97), sull’accoglienza dei frati e sui frati che dimorano fuori delle case religiose (n.99). Lo sguardo si amplia per mettere a fuoco la collaborazione tra Circoscrizioni (n.100), la famiglia francescana (n. 101), i rapporti con l’Ordine Francescano Secolare (n. 102), con i parenti, benefattori e collaboratori (n.103), per arrivare fino all’accoglienza di tutti coloro che giungono alle nostre case (n.104). L’accoglienza dello straniero porta il frate a sperimentare lui stesso la condizione di forestiero. I frati, come san Francesco, si sentono legati da vincolo fraterno con tutte le creature (n.105), vivono e operano tra gli uomini come fermento evangelico (n. 106), operatori di pace (n.107), testimoni di speranza (n.108).

Questa struttura porta a dire che: “Il fine ultimo della nostra scelta di vita è la consacrazione, il dono di noi stessi. Ogni gesto e ogni atto prende senso a partire dalla consacrazione di noi stessi. Va aggiunto inoltre che vi è una modalità insostituibile nel nostro modo di realizzarlo. Si tratta dell’identità fraterna minoritica, eredità preziosa di San Francesco. […] Chi sceglie la nostra vita, sceglie in primo luogo di diventare un fratello minore. Questa è la scelta fondamentale e che sta a monte di ogni specificazione susseguente. Nell’Ordine fondato da San Francesco non ci sono categorie, ci sono fratelli e c’è ogni fratello. Ne consegue che la vita fraterna e la capacità di relazionarci a tutti indistintamente, deve avere il primato nel nostro cammino quotidiano. […] Siamo un Ordine di fratelli secondo la «rivelazione» che il Signore fece a Frate Francesco, donandogli dei fratelli e mostrandogli di dover vivere secondo la forma del Santo Vangelo[5].

L’origine della fraternità

L’introduzione ai due articoli che compongono il VI capitolo motiva teologicamente[6] l’origine della vita fraterna: “Il Signore Gesù nella sua vita terrena chiamò quelli che Egli volle, per tenerli accanto a sé e formarli a vivere sul suo esempio per il Padre e per la missione da Lui ricevuta (cfr Mc 3, 13-15). Egli inaugurava così quella nuova famiglia della quale avrebbero fatto parte nel corso dei secoli quanti sarebbero stati pronti a «compiere la volontà di Dio» (cfr Mc 3, 32-35). Dopo l'Ascensione, per effetto del dono dello Spirito, si costituì intorno agli Apostoli una comunità fraterna raccolta nella lode di Dio e in una concreta esperienza di comunione (cfr At 2, 42-47; 4, 32-35). La vita di tale comunità e, più ancora, l'esperienza di piena condivisione con Cristo vissuta dai Dodici, sono state costantemente il modello a cui la Chiesa si è ispirata, quando ha voluto rivivere il fervore delle origini e riprendere con rinnovato vigore evangelico il suo cammino nella storia. In realtà, la Chiesa è essenzialmente mistero di comunione, «popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». La vita fraterna intende rispecchiare la profondità e la ricchezza di tale mistero, configurandosi come spazio umano abitato dalla Trinità, che estende così nella storia i doni della comunione propri delle tre Persone divine. Molti sono, nella vita ecclesiale, gli ambiti e le modalità in cui s'esprime la comunione fraterna. La vita consacrata ha sicuramente il merito di aver efficacemente contribuito a tener viva nella Chiesa l'esigenza della fraternità come confessione della Trinità. Con la costante promozione dell'amore fraterno anche nella forma della vita comune, essa ha rivelato che la partecipazione alla comunione trinitaria può cambiare i rapporti umani, creando un nuovo tipo di solidarietà. In questo modo essa addita agli uomini sia la bellezza della comunione fraterna, sia le vie che ad essa concretamente conducono. Le persone consacrate, infatti, vivono «per» Dio e «di» Dio, e proprio per questo possono confessare la potenza dell'azione riconciliatrice della grazia, che abbatte i dinamismi disgregatori presenti nel cuore dell'uomo e nei rapporti sociali”[7].

La nostra forma di vita è pertanto modellata sulla Trinità. “Gli scritti di San Francesco traboccano del Mistero della Trinità. La Regola non bollata (Rnb) inizia “Nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo” (Rnb I,2) e termina “Gloria al Padre, e al Figlio e allo Spirito santo” (Rnb XXIII, 39). I suoi scritti sono intonati al Mistero della Trinità [[8]]. […] Francesco stabilì il suo Ordine come fraternità ispirato dalla stessa chiarezza spirituale. […] Francesco ha scelto la fraternità, una vita in rapporto come fratelli e sorelle perché il Dio Trinità è per natura relazionale: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gen. 1, 27). Non siamo creati ad immagine di un Dio solitario, isolato e autonomo, ma del Dio Trinità, personale, relazionale, che è Padre e Figlio e Spirito Santo. Dunque noi siamo immagine di Dio solamente quano viviamo in rapporto. La fraternità è stata l’esperienza fontale della sua conversione: “E dopo che il Signore mi donò dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare ...” (Test.16). E la fraternità diventa la sua missione. “Francesco ha abbracciato il piano di Dio per le sue creature come una famiglia di sorelle e di fratelli: fratello sole, sorella luna, ecc.(cfr. Cant: FF 263). Egli non si è mai chiamato semplicemente ‘Francesco’, ma sempre ‘frate Francesco’. Essere ‘fratello’ rivelava il suo sentirsi in relazione con ogni creatura a cui Dio lo chiamava e la sua missione di sanare le relazioni con docile umiltà” (VII CPO, 1 c). Infatti Francesco usa più spesso, 306 volte, il titolo “fratello” che ogni altro titolo ad eccezione del titolo “Signore”, che usa 410 volte. Fraternità è il dono alla Chiesa, la sua risposta all’invito del Crocifisso “Va e ripara la mia Chiesa…” Il Concilio Vaticano II afferma che la Santissima Trinità è la “fraternità” che crea la Chiesa “La Chiesa universale si presenta come un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ” (LG 4). Francesco purifica la Chiesa invitando tutti a vivere come fratelli e sorelle. E’ questo è anche oggi la nostra missione”[9].

Sebbene la missione permanga nel tempo la comprensione teologica muta[10]. “La teologia del Vaticano II e il magistero di Paolo VI hanno determinato una nuova ecclesiologia. La Chiesa ora descrive se stessa come mistero di comunione: “la Chiesa universale si presenta come ‘un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo’” (LG 4). Questo cambiamento di prospettiva ha trovato ulteriore sviluppo e approfondimento negli scritti del Papa Giovanni Paolo II, in particolare nella Novo Millennio Ineunte, e nei recenti documenti sinodali. La nuova ecclesiologia ha avuto notevole incidenza nella riflessione sulla vita religiosa. Il documento della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, La Vita Fraterna in Comunità. “Congregavit nos in unum Christi amor” (2 febbraio 1994), afferma: “È stato lo sviluppo dell’ecclesiologia che ha inciso più di ogni altro fattore sull’evoluzione della comprensione della comunità religiosa. Il Vaticano II ha affermato che la vita religiosa appartiene “fermamente” alla vita e alla santità della Chiesa, e l’ha collocata proprio nel cuore del suo mistero di comunione e di santità” (n. 2). L’Esortazione apostolica Vita Consecrata (del 1996) aggiunge: “La vita fraterna intende rispecchiare la profondità e la ricchezza di tale mistero [della Chiesa-comunione] configurandosi come spazio umano abitato dalla Trinità, che estende così nella storia i doni della comunione propri delle tre Persone divine” (n. 41). La riflessione sulle fonti francescane e cappuccine dal punto di vista di questa nuova prospettiva ha fatto emergere una visione profondamente rinnovata della missione dell’Ordine nel mondo. La fraternità evangelica è infatti realmente l’incarnazione francescana della comunione.” [11]

È opportuno ancora ribadire che con il Concilio Vaticano II si ha “il passaggio da una connotazione fortemente penitenziale della nostra forma di vita a quella dove emerge la priorità della vita fraterna. Il valore della vita fraterna è un dato ormai acquisito, e la formazione che i frati di tutto l’Ordine hanno ricevuto su questo aspetto del nostro carisma, è stata, e continua ad essere significativa e sostanziosa. Allo stesso tempo, siamo consapevoli che la tentazione e la fuga verso l’individualismo si stanno diffondendo in modo preoccupante. Se un tempo eravamo meno coinvolti da quanto accadeva all’esterno del convento, oggi i nuovi mezzi di comunicazione ci propongono in maniera insistente, convincente e raffinata una serie di messaggi e stili di vita che favoriscono una mentalità prettamente individualista, per cui diventa difficile orientarci e discernere. Di fronte a questa situazione abbiamo nella fraternità un valido termine di riferimento: esso scaturisce dal rinnovamento delle nostre Costituzioni iniziate nell’anno 1968, dove la forza e la bellezza della vita fraterna sono evidenziate come elementi prioritari. L’individualità di ogni singolo fratello è un dono prezioso da rispettare e sostenere, ma “l’io” di ciascuno di "noi” diventa ancora più prezioso e fecondo se si relaziona con il “noi” della vita fraterna. Laddove la vita fraterna è vissuta e coltivata con cura, si creano le condizioni perché il singolo frate possa affrontare con serenità le situazioni provocanti e difficili del nostro tempo. Quella del 1968 rappresenta una svolta provvidenziale, ora si tratta di rimanervi fedeli e di cercare di renderla attuale nei rapidi cambiamenti che coinvolgono il mondo intero. Ogni fratello ha il diritto di godere del dono della fraternità e di percepirsi a sua volta chiamato a donare la propria energia perché questo dono possa sviluppare tutta la sua prorompente vitalità. La svolta di cui scrivevo sopra ha le sue radici in una rilettura delle Fonti Francescane, dove emerge in modo altamente significativo come Francesco d’Assisi abbia valorizzato il dono di ogni singolo fratello, scegliendo volutamente di descrivere il movimento da lui iniziato come una “fraternitas”[12]. In nome di questa originalità di Francesco possiamo affermare con convinzione che la vita fraterna vissuta con intensità e fedeltà è più esigente anche della stessa scelta della povertà. Mi spiego: se la povertà consiste principalmente nel sottrarre quante più cose alla vita e ridurre le mie e le nostre esigenze all’essenziale, il vivere fraterno esige una continua dinamica di donazione, che ci impegna a rendere più autentica la qualità delle relazioni che accompagnano la nostra quotidianità. A volte si tratta di saper perdonare e di saperlo fare sempre di nuovo, altre volte occorre fare un passo indietro per fare spazio all’altro perché i suoi doni possano fiorire e portare frutto. La vita fraterna, originata dallo Spirito Santo, cresce se la qualità delle nostre relazioni ha il sapore dell’accoglienza, del perdono, della misericordia e della carità che il Signore Gesù ci ha presentato come Beatitudine per la nostra esistenza. La povertà che tanti nostri frati hanno vissuto e vivono con letizia non è relegata in secondo piano, ma nella luce di quel rinnovamento che rende sempre giovani i carismi, assume i connotati della solidarietà, della condivisione dei beni con gli ultimi della terra, della responsabilità nei confronti della salvaguardia del Creato. Fraternità significa pure disponibilità a superare i confini della fraternità locale, della Provincia o Custodia in cui viviamo, per sostenere Circoscrizioni in difficoltà oppure ad essere aggregati a fraternità interculturali dove le necessità di personale sono più urgenti.”[13]

Alla luce di quanto detto acquista un pregnante valore quanto il ministro generale fr. Roberto Genuin scrive: “Ci sono due argomenti in particolare sui quali vale la pena di riflettere sempre, perché sono centrali nella nostra identità, e possono avere conseguenze importanti sullo sviluppo del nostro Ordine: il tema della fraternità[14] e il tema dei fratelli laici.”[15]

«Un Ordine di fratelli»

“Noi, quindi, professando questa forma di vita, costituiamo veramente un Ordine di fratelli” (Cost. 88,7)[16].

La dimensione fraterna e minoritica dell’Ordine custodisce la primitiva e genuina intuizione di s. Francesco d’Assisi[17], che «voleva appunto che l’Ordine fosse aperto allo stesso modo ai poveri e agli illetterati, e non soltanto ai ricchi e ai sapienti. “Presso Dio – diceva – non vi è preferenza di persone, e lo Spirito Santo, ministro generale dell’Ordine, si posa egualmente sul povero e il semplice”» (FF 779). Questa intuizione è stata riconosciuta[18] e tuttavia ha avuto più volte bisogno di essere difesa[19].

È fondamentale proporre questa dimensione nella formazione perché è lì che si costruisce un Ordine di fratelli. “La scarsità abbastanza evidente di fratelli laici nelle nuove aree di sviluppo dell’Ordine pone un problema: è il Signore che vuole solo Cappuccini ordinati in sacris, oppure siamo noi a pensarci e proporci solo come frati sacerdoti? Non credo sia una questione di numeri, ma di identità carismatica! La nostra vocazione è quella ad essere fratelli e minori; tutte le altre ‘qualifiche’ non aggiungono o tolgono nulla a questa identità; piuttosto è a partire da questa identità che tutto il resto riceve la fisionomia sua propria. Non mi qualifico, cioè, come frate minore perché sono sacerdote, o perché ho un titolo di studio, o perché posso assumere posizioni che vengono considerate di prestigio all’interno della mia cultura. Non mi qualifico come frate minore perché posso reggere una parrocchia, amministrare i sacramenti, dirigere una scuola o assumere cariche di potere all’interno della Chiesa e dell’Ordine. Mi qualifico come frate minore solo e nella misura in cui mi impegno a vivere il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità, con la particolare predilezione al servizio generoso, umile e dimentico di sé, e di vicinanza agli ultimi, agli esclusi, ai poveri. Perciò nel nostro Ordine c’è veramente spazio per tutti, non solo per i chiamati all’ordine sacro. Ed è per questo che tanti nostri fratelli laici hanno potuto raggiungere la santità senza essere sacerdoti, perché l’essere ordinati non è elemento necessario per vivere la nostra vocazione. Che maggiore testimonianza del vangelo daremmo, con il nostro modo di ragionare e le scelte che facciamo, se riuscissimo ad arricchire tutte le culture di questa identità specifica di cui lo Spirito ci ha fatto dono per il bene del popolo di Dio! Bisognerà trovare dei modi per fare dei passi significativi in questo senso”[20].

Alcune considerazioni sulla vita fraterna

Nel cuore dell’uomo è molto forte il desiderio di costruire relazioni significative. Eppure, allo stesso tempo, c’è una grande paura di vivere legami in pienezza. Tuttavia, un’identità che evita i limiti della relazione è condannata ad essere vuota o frammentata. I frati possono dare il loro contributo sul vivere insieme sia perché la vita religiosa è – come tutta la Chiesa – casa e scuola di comunione[21], sia perché i consacrati sono chiamati innanzitutto ad essere uomini e donne dell’incontro[22].

La relazione è lo strumento formativo per eccellenza perché “la vita fraterna è il luogo privilegiato per discernere e accogliere il volere di Dio e camminare insieme in unione di mente e di cuore” [23]. Eppure, si possono creare atteggiamenti con i quali la vita fraterna può essere seriamente minacciata[24]. Ci possono essere situazioni in cui può diventare “solo teorica: manca la convivenza quotidiana, fatta di preghiera insieme, di confronto e condivisione della nostra vita e della nostra fede, di servizi comuni svolti da tutti a servizio gli uni degli altri; manca la dimensione propria nostra della fraternità, ‘luogo’ privilegiato nel quale ciascuno può trovare Dio che gli parla e gli offre tutti gli elementi necessari per la sua vera crescita umana e spirituale secondo la nostra vocazione; manca il ‘luogo’ dove, oltre il sentire personale, sempre da condividere per la crescita di tutti, insieme possiamo anche veramente discernere qual è la volontà di Dio sulla stessa fraternità locale, provinciale e dell’Ordine intero. Una volta per costituire una fraternità occorreva ci fossero almeno 12 frati. Non potrà essere così oggi. Ma non potremo neppure pensare che il nostro carisma trovi le vie per incarnarsi con divina efficacia nelle diverse culture, se non puntiamo con decisione sulla presenza di fraternità significative sia come numero che come vitalità di rapporti fraterni. Sarà difficile anche una testimonianza efficace della nostra vita se ci presentiamo solo come operatori pastorali, totalmente dediti al ministero, non espressione della vita fraterna.”[25]

Perché si possa crescere nella comunione “particolare impegno si abbia per il Capitolo locale, che è strumento privilegiato per manifestare l’indole e promuovere la crescita della nostra vita nella comunione fraterna. In esso bene si esprime l’obbedienza caritativa, che caratterizza la nostra Fraternità. Grazie ad essa i frati sono a servizio l’uno dell’altro, si stimola la creatività e i doni di ciascuno sono a vantaggio di tutti” (Cost. 89,4)[26]. Sull’importanza delle relazioni fraterne scrive Papa Francesco nell’Evangelii gaudium: “Una sfida importante è mostrare che la soluzione non consisterà mai nel fuggire da una relazione personale e impegnata con Dio, che al tempo stesso ci impegni con gli altri. Questo è ciò che accade oggi quando i credenti fanno in modo di nascondersi e togliersi dalla vista degli altri, e quando sottilmente scappano da un luogo all’altro o da un compito all’altro, senza creare vincoli profondi e stabili […] È un falso rimedio che fa ammalare il cuore e a volte il corpo. È necessario aiutare a riconoscere che l’unica via consiste nell’imparare a incontrarsi con gli altri con l’atteggiamento giusto, apprezzandoli e accettandoli come compagni di strada, senza resistenze interiori. Lì sta la vera guarigione, dal momento che il modo di relazionarci con gli altri che realmente ci risana invece di farci ammalare, è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono(EG 91-92).

Nella costruzione di una fraternità mistica sempre ottima è la massima: Il tempo perso nelle relazioni è il tempo che dà valore alla relazione[27]. Vuoi sapere quanto vale la rosa per te? Ci si domanda nel Piccolo principe: quanto tempo gli dedichi? Quanto tempo perdi per la rosa? Il tempo che valorizza la relazione è il tempo in cui si sta insieme; è il tempo che prepara all’incontro, e quello, che a conclusione, lo integra. “Perdere tempo” nella relazione, è perdere tempo nella conoscenza e nella gestione delle dinamiche relazionali che precedono, accompagnano e seguono l’incontro.

“La volontà di riappropriarci della vita evangelica fraterna ha costituito lo sforzo più importante dell'Ordine per rispondere all'invito fatto dal Concilio Vaticano II a tutti i religiosi a ritornare al carisma delle loro origini. Ed effettivamente in molte e differenti nostre Province i fratelli anziani riconoscono che nelle loro comunità esiste una più profonda sensibilità alla vita fraterna. Allo stesso tempo cinque Consigli Plenari dell'Ordine sono stati dedicati alla ridefinizione del significato evangelico della nostra vita fraterna […] “E quando il Signore mi ebbe donato dei fratelli...” fu uno spartiacque nella vita di Francesco, il quale considerò sempre come risposta primaria al santo Vangelo quella di vivere da fratello. Alla fine, egli sentì un rapporto di affetto con tutti e con tutto. Ogni singola creatura era suo fratello o sua sorella; ogni pietra, ogni ruscello, la sua casa. Parlava di fratello Sole, sorella Luna, fratello Vento e madre Terra. Mediante la grazia, Francesco giunse ad un punto tale da non avere in sé né violenza né divisione, nulla che lo potesse separare dal suo prossimo o dalla creazione. Il Celano afferma che Francesco, purificato dall'intensità con cui viveva la fraternità, era ritornato alla innocenza originale. Una simile qualità del vivere fraterno presente in Francesco e nella sua primitiva fraternità apriva i cuori al messaggio del santo Vangelo. La fraternità era il suo strumento preferito di evangelizzazione. La “testimonianza evangelica” non è una nuova ideologia, è una nuova conversione! […] Non possiamo affermare di essere un “popolo evangelico”, a meno che ogni singolo frate non prenda la decisione di essere un “uomo evangelico”. “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2, 5). È questo il terreno comune al quale ci richiama la tradizione cappuccina mediante una seria applicazione alla condivisione della Parola, alla meditazione, alla Preghiera della Chiesa, all’Eucaristia, alla Riconciliazione. La creazione di una fraternità che legga seriamente i nuovi segni dei tempi e riconosca l’azione dello Spirito di Dio in mezzo al popolo richiede qualcosa di più dello studio dei grandi avvenimenti nazionali e mondiali. La creazione di una fraternità inserita tra i poveri richiede qualcosa di più di un semplice cambiamento di collocazione o di una modifica nella struttura della fraternità: essa richiede un cammino mentale e spirituale da parte dei fratelli. Operare efficacemente per la riconciliazione e il regno della giustizia esige ugualmente che una fraternità intraprenda una seria riflessione sul proprio ambiente alla luce del Vangelo. “La sapienza... è trovata da chiunque la ricerca... La troverà seduta alla sua porta” (Sap 6, 12.14). Francesco non trovò la chiave della pace e della giustizia nella lontana Roma o alla corte del Sacro Romano Impero. Egli iniziò la sua ricerca nel suo ambiente, a Santa Maria degli Angeli insieme ai suoi frati. Perciò è necessario un serio sforzo per l’uso effettivo del capitolo locale, il quale deve animare le nostre fraternità a dare più efficace testimonianza dei valori evangelici che costituiscono il fondamento della nostra forma di vita. Una fraternità evangelica non nasce per caso, semplicemente mettendo insieme dei frati nella stessa casa, ma richiede attenzione e animazione. Perciò il ruolo del Guardiano come animatore della fraternità locale è indispensabile. I Guardiani devono essere visti dai Ministri provinciali e dalle loro fraternità primariamente come guide spirituali. Ed essi stessi devono considerare l’animazione spirituale delle loro fraternità come la loro prima e più importante responsabilità (cfr. “La vita fraterna in comunità”, n. 50). […] Francesco volle che la sua fraternità esprimesse la specifica qualità evangelica della minorità. Nella sua prima Regola, Francesco indica come la minorità deve informare le relazioni tra i frati stessi: “... tutti i frati non abbiano in questo alcun potere o dominio soprattutto fra di loro” (Rnb 5,9: FF 19). […] I doni sono dati dallo Spirito Santo non per il nostro prestigio personale, ma per il servizio della fraternità e del mondo. San Francesco stesso ci rimanda al capitolo 13 del Vangelo di Giovanni, nel quale Gesù fa capire la natura del servizio cristiano: "E nessuno sia chiamato priore, ma tutti siano chiamati semplicemente frati minori. E l'uno lavi i piedi all'altro" (Rnb 6,3:FF 23). Così la minorità rende possibile a persone che possiedono qualità e responsabilità molto diverse nella società e nella Chiesa di essere unite in autentica fraternità e di vivere come eguali”[28].

Mutua integrazione

“Si abbia cura che nelle nostre fraternità la differenza di età aiuti la concordia degli animi e la mutua integrazione. Ai frati anziani si manifestino segni di una carità premurosa e riconoscente. I giovani abbiano nella dovuta stima i frati di età più matura e si giovino volentieri della loro esperienza; gli anziani, da parte loro, accolgano le nuove e sane forme di vita e di attività; e gli uni e gli altri si comunichino le proprie ricchezze” (Cost. 91).

L’incontro tra le generazioni è fondamentalmente incontro tra le diversità e segue la grammatica di tale logica. Di per sé non è conflittuale, ma non è neanche ovvio che sia arricchente. Quando la diversità vissuta nel proprio corpo, nei propri sogni, nelle proprie paure, sente minacciosa la diversità (con le energie, le spinte, i turbamenti) di cui un corpo più adulto o più giovane è portatore, diventa conflittuale. Questo conflitto generazionale si può risolvere attraverso la disciplina dell’incontro, la conoscenza del proprio cuore e la guarigione delle ferite. Se ciascuno sarà capace di mettersi nei panni dell’altro, sarà disposto a pensare che nell’altro – con il quale è difficile incontrarsi – c’è almeno un briciolo di bontà e di verità, se ciascuno saprà ascoltare fino in fondo le ragioni dell’altro, le paure e i sogni legati ad ogni età, allora nascerà il miracolo dell’incontro generazionale[29]. È importante avere in mente che nel fluire degli anni si attraversano sogni, paure, energie, spinte, che sono proprie di ogni fascia di età e che fanno sì che i vissuti di un giovane non siano quelli di un adulto o di un anziano. Ad ogni stagione l’uomo fa i conti con un’esperienza diversa di sé (e in particolare del proprio corpo e delle sue funzioni), dell’altro e di Dio.

Commentando la pagina della presentazione al Tempio, Papa Francesco dice: “La festa della Presentazione di Gesù al Tempio è chiamata anche la festa dell’incontro: […] quando Maria e Giuseppe portarono il loro bambino al Tempio di Gerusalemme, avvenne il primo incontro tra Gesù e il suo popolo, rappresentato dai due anziani Simeone e Anna. Quello fu anche un incontro all’interno della storia del popolo, un incontro tra i giovani e gli anziani: i giovani erano Maria e Giuseppe, con il loro neonato; e gli anziani erano Simeone e Anna. […] È un incontro tra i giovani pieni di gioia nell’osservare la Legge del Signore e gli anziani pieni di gioia per l’azione dello Spirito Santo. È un singolare incontro tra osservanza e profezia, dove i giovani sono gli osservanti e gli anziani sono i profetici! [...] E anche nella vita consacrata si vive l’incontro tra i giovani e gli anziani, tra osservanza e profezia. Non vediamole come due realtà contrapposte! Lasciamo piuttosto che lo Spirito Santo le animi entrambe, e il segno di questo è la gioia: la gioia di osservare, di camminare in una regola di vita; e la gioia di essere guidati dallo Spirito, mai rigidi, mai chiusi, sempre aperti alla voce di Dio che parla, che apre, che conduce, che ci invita ad andare verso l’orizzonte. Fa bene agli anziani comunicare la saggezza ai giovani; e fa bene ai giovani raccogliere questo patrimonio di esperienza e di saggezza, e portarlo avanti, non per custodirlo in un museo, ma per portarlo avanti affrontando le sfide che la vita ci presenta, portarlo avanti per il bene delle rispettive famiglie religiose e di tutta la Chiesa.”[30]

Chissà se anche oggi per gli adulti e gli anziani, nell’incontro delle generazioni, non può essere utile l’immagine di Francesco che, giunto a compimento, dice: “Io ho fatto la mia parte, Cristo vi insegni la vostra”. Francesco d’Assisi non nega la sua storia e non assolutizza la sua esperienza di vita. L’umiltà responsabile diventa una delle virtù fondamentali perché le generazioni si incontrino e fioriscano. E allo stesso tempo, come insegna Papa Francesco, è importante per i giovani ricordare che: “Il rinvigorimento e il rinnovamento della vita consacrata avvengono attraverso un amore grande alla regola, e anche attraverso la capacità di contemplare e ascoltare gli anziani della Congregazione. Così il ‘deposito’, il carisma di ogni famiglia religiosa viene custodito insieme dall’obbedienza [dei giovani] e dalla saggezza [degli anziani]. E, attraverso questo cammino, siamo preservati dal vivere la nostra consacrazione in maniera light, […] che ridurrebbe la vita religiosa ad una ‘caricatura’, una caricatura nella quale si attua una sequela senza rinuncia, una preghiera senza incontro, una vita fraterna senza comunione, un’obbedienza senza fiducia e una carità senza trascendenza.”[31]

In questo processo di dialogo e di integrazione “si tratta di essere presenza e luogo in cui ogni persona può deporre il proprio dolore, anche quello silenzioso e persino quello ‘illegittimo’, e sentirsi ‘riscaldare il cuore’. Si tratta di vivere la vita fraterna nello Spirito come luogo in cui le diversità e le soggettività si aprono ai fratelli e si consegnano alla relazione.”[32] Nell’impegno reciproco, nella sfida che è per tutti, ciascuno secondo la propria età e il proprio servizio, le parole di Giovanni Paolo II sono da accogliere con rinnovata fiducia: “Persone consacrate, anziane e giovani, vivete la fedeltà al vostro impegno verso Dio, in mutua edificazione e con mutuo sostegno”[33]. Riprende e sintetizza questo concetto Papa Francesco quando in Evangelii Gaudium esorta: Non lasciamoci rubare la comunità[34].

Frati infermi

“Beato il servo che tanto è disposto ad amare il suo fratello quando è infermo, e perciò non può ricambiargli il servizio, quanto l’ama quando è sano, e può ricambiarglielo” (Am XXIV: FF 174)[35]. L’attenzione per il fratello che è debole prova l’amore. L’infermità al tempo di s. Francesco, costringeva a vivere in una condizione di vulnerabilità che l’amore per il fratello infermo era il segno evidente di un amore gratuito, disinteressato, autentico e fonte di beatitudine. Francesco d’Assisi aveva grande compassione per i frati infermi e scrive nella Regola non Bollata: “Se qualcuno dei frati cadrà ammalato, ovunque si trovi, gli altri frati non lo lascino senza avere prima incaricato un frate, o più di uno se sarà necessario, che lo servano come vorrebbero essere serviti essi stessi; però, in caso di estrema necessità, lo possono affidare a qualche persona che debba provvedere adeguatamente alla sua infermità” (RnB X: FF 34)[36]. Un amore così grande per il fratello infermo che giustifica anche l’eccezione alla “Regola”[37]. Nel capitolo VII della RnB si afferma “nessun frate, ovunque sia e dovunque vada, in nessuno modo prenda o riceva o faccia ricevere pecunia o denaro, né con il pretesto di vestiti o di libri, né per compenso di alcun lavoro, insomma per nessuna ragione, se non per una manifesta necessità dei frati infermi”[38]. Solo l’amore per gli infermi e per i lebbrosi può motivare oltre che l’accettazione del denaro anche il chiedere l’elemosina: “Tuttavia i frati, per una evidente necessità dei lebbrosi, possono chiedere per loro l’elemosina” (RnB VIII: FF 28). La fermezza dinnanzi al principio di non chiedere l’elemosina - a tal punto da sottolineare questo con diverse sfaccettature: “in nessun modo prenda, o riceva o faccia ricevere” - cede il passo, con l’audacia della carità, ai bisogni degli ammalati[39]. “Le necessità dei lebbrosi” sono la giustificazione, superiore ad ogni ascetismo, per andare oltre il comando di non ricevere denaro. Per lo stesso motivo e per la stessa misericordia verso i frati infermi, sebbene i frati non possano tenere bestie e cavalcarle, coloro che sono infermi o in caso di necessità sono esenti dal divieto: “E non sia loro lecito andare a cavallo, se non vi siano costretti da infermità o da grande necessità” (RnB XV: FF 41; cfr. RB III: FF 85). Dinnanzi al fratello che soffre Francesco chiede un cuore evangelico che sappia mettersi nei panni degli altri e che sappia andare oltre la sicurezza di essere dentro il recinto dell’osservanza[40].

In Francesco d’Assisi si constata un amore immenso verso coloro che sono nella debolezza. Tale misericordia[41] si manifesta anche nelle parole di ammonizione che egli rivolge al frate ammalato, perché nella debolezza non rischi di smarrire il sentiero eucaristico del Vangelo: “E prego il frate infermo di rendere grazie di tutto al Creatore; e quale lo vuole il Signore, tale desideri di essere, sia sano che malato, poiché tutti coloro ce Dio ha preordinato alla vita eterna, li educa con i richiami stimolanti dei flagelli e delle infermità e con lo spirito di compunzione, così come dice il Signore: “Io quelli che amo, li rimprovero e li castigo”. Se invece si turberà e si adirerà contro Dio e contro i frati, ovvero chiederà con insistenza medicine, desiderando troppo di liberare la carne che presto dovrà morire, e che è nemica dell’anima, questo gli viene dal maligno ed egli è uomo carnale, e non sembra essere un frate, poiché ama più il corpo che l’anima” (RnB X: FF 35). La gratitudine è la parola che il frate rivolge al Creatore sia nella salute che nella malattia, poiché tutti “in ogni luogo, in ogni ora e in ogni tempo, ogni giorno e ininterrottamente crediamo veracemente e umilmente e teniamo nel cuore e amiamo, onoriamo, adoriamo, serviamo, lodiamo e benediciamo, glorifichiamo ed esaltiamo, magnifichiamo e rendiamo grazie all’altissimo e sommo eterno Dio, Trinità e Unità, Padre e Figlio e Spirito Santo” (RnB XXIII: FF 71)[42].

Circa la vicinanza ai nostri fratelli infermi, Papa Francesco racconta un dialogo avuto con una consacrata: “Ah sì Padre, nella mia comunità la superiora ci ha dato il permesso di uscire, andare nei quartieri poveri con la gente… – “E nella tua comunità, ci sono suore anziane?” – “Sì, sì… C’è l’infermeria, al terzo piano” – “E quante volte al giorno tu vai a trovare le tue suore, le anziane, che possono essere tua mamma o tua nonna?” – “Ma, sa Padre, io sono molto impegnata nel lavoro e non ce la faccio ad andare…”. Prossimità! Qual è il primo prossimo di un consacrato o di una consacrata? Il fratello o la sorella della comunità. Questo è il vostro primo prossimo. E anche una prossimità affettuosa, buona, con amore” [43].

Mezzi di comunicazione

“I mezzi di comunicazione sociale contribuiscono allo sviluppo della persona e ad estendere il Regno di Dio. La loro scelta e uso richiedono maturità di giudizio e moderazione, evitando ciò che è in contrasto con la fede, con la morale, e con la vita di consacrazione” (Cost. 96,1).

Non è possibile, al giorno di oggi, non essere coinvolti nei mezzi di comunicazione sociale (tradizionali o innovativi). Essi hanno una molteplice utilità e possono apportare un contributo alla crescita della persona e all’evangelizzazione. Paolo VI con il decreto sugli strumenti di comunicazione sociale Inter Mirifica coglie la ricchezza che essi comportano per l’umanità: “Tra le meravigliose invenzioni tecniche che, soprattutto nel nostro tempo, l'ingegno umano è riuscito, con l'aiuto di Dio, a trarre dal creato, la Chiesa accoglie e segue con particolare sollecitudine quelle che più direttamente riguardano le facoltà spirituali dell'uomo e che hanno offerto nuove possibilità di comunicare, con massima facilità, ogni sorta di notizie, idee, insegnamenti. Tra queste invenzioni occupano un posto di rilievo quegli strumenti che, per loro natura, sono in grado di raggiungere e influenzare non solo i singoli, ma le stesse masse e l'intera umanità. Rientrano in tale categoria la stampa, il cinema, la radio, la televisione e simili. A ragione quindi essi possono essere chiamati: strumenti di comunicazione sociale. La Chiesa nostra madre riconosce che questi strumenti se bene adoperati, offrono al genere umano grandi vantaggi, perché contribuiscono efficacemente a sollevare e ad arricchire lo spirito, nonché a diffondere e a consolidare il regno di Dio” (IM 1.2). Circa gli utenti si specifica “Il retto uso degli strumenti della comunicazione sociale, che sono a disposizione di utenti diversi per età e preparazione culturale, esige un'adatta e specifica formazione teorica e pratica di questi ultimi. Perciò le iniziative atte a questo scopo - soprattutto se destinate ai giovani - siano favorite e largamente diffuse nelle scuole cattoliche di ogni grado, nei seminari e nelle associazioni dell'apostolato dei laici. Esse saranno ispirate ai principi della morale cristiana.” (IM 16). Riguardo i doveri degli utenti si afferma: “ Particolari doveri hanno tutti gli utenti -vale a dire i lettori, gli spettatori, gli uditori- che con scelta personale e libera ricevono le comunicazioni diffuse da questi strumenti. Infatti, una scelta retta richiede che essi favoriscano in ogni modo quanto presenta un reale valore morale, culturale e artistico; che evitino, invece, quanto costituisce per loro causa o occasione di danno spirituale, oppure con il cattivo esempio induce altri in pericolo, o contribuisce a ostacolare le buone comunicazioni e a incoraggiare quelle cattive. Questo ultimo caso solitamente si verifica quando si versa il proprio denaro a quanti adoperano tali strumenti unicamente a scopo di lucro. Perciò gli utenti, per agire moralmente bene, non trascurino il loro dovere d'informarsi tempestivamente dei giudizi che a questo proposito vengono dati dalla competente autorità, e di attenervisi secondo le norme della retta coscienza. Al fine poi di resistere più facilmente alle suggestioni meno oneste e di favorire sicuramente quelle buone, procurino di formare e di orientare la propria coscienza con i mezzi adatti” (IM 9).

Tra i molteplici strumenti di formazione della coscienza vi sono i messaggi che ogni anno il Santo Padre invia in occasione della giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Nel Messaggio per la XLVIII giornata mondiale dal tema Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro cosi dice: “Oggi viviamo in un mondo che sta diventando sempre più “piccolo” e dove, quindi, sembrerebbe essere facile farsi prossimi gli uni agli altri. Gli sviluppi dei trasporti e delle tecnologie di comunicazione ci stanno avvicinando, connettendoci sempre di più, e la globalizzazione ci fa interdipendenti. Tuttavia all’interno dell’umanità permangono divisioni, a volte molto marcate. […] In questo mondo, i media possono aiutare a farci sentire più prossimi gli uni agli altri; a farci percepire un rinnovato senso di unità della famiglia umana che spinge alla solidarietà e all’impegno serio per una vita più dignitosa. Comunicare bene ci aiuta ad essere più vicini e a conoscerci meglio tra di noi, ad essere più uniti. I muri che ci dividono possono essere superati solamente se siamo pronti ad ascoltarci e ad imparare gli uni dagli altri. Abbiamo bisogno di comporre le differenze attraverso forme di dialogo che ci permettano di crescere nella comprensione e nel rispetto. La cultura dell’incontro richiede che siamo disposti non soltanto a dare, ma anche a ricevere dagli altri. I media possono aiutarci in questo, particolarmente oggi, quando le reti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi. In particolare internet può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti, e questa è una cosa buona, è un dono di Dio. Esistono però aspetti problematici: la velocità dell’informazione supera la nostra capacità di riflessione e giudizio e non permette un’espressione di sé misurata e corretta. La varietà delle opinioni espresse può essere percepita come ricchezza, ma è anche possibile chiudersi in una sfera di informazioni che corrispondono solo alle nostre attese e alle nostre idee, o anche a determinati interessi politici ed economici. L’ambiente comunicativo può aiutarci a crescere o, al contrario, a disorientarci. Il desiderio di connessione digitale può finire per isolarci dal nostro prossimo, da chi ci sta più vicino. Senza dimenticare che chi, per diversi motivi, non ha accesso ai media sociali, rischia di essere escluso. Questi limiti sono reali, tuttavia non giustificano un rifiuto dei media sociali; piuttosto ci ricordano che la comunicazione è, in definitiva, una conquista più umana che tecnologica. Dunque, che cosa ci aiuta nell’ambiente digitale a crescere in umanità e nella comprensione reciproca? Ad esempio, dobbiamo recuperare un certo senso di lentezza e di calma. Questo richiede tempo e capacità di fare silenzio per ascoltare. Abbiamo anche bisogno di essere pazienti se vogliamo capire chi è diverso da noi: la persona esprime pienamente se stessa non quando è semplicemente tollerata, ma quando sa di essere davvero accolta. […]Come allora la comunicazione può essere a servizio di un’autentica cultura dell’incontro? E per noi discepoli del Signore, che cosa significa incontrare una persona secondo il Vangelo? Come è possibile, nonostante tutti i nostri limiti e peccati, essere veramente vicini gli uni agli altri? Queste domande si riassumono in quella che un giorno uno scriba, cioè un comunicatore, rivolse a Gesù: «E chi è mio prossimo?» (Lc 10,29). Questa domanda ci aiuta a capire la comunicazione in termini di prossimità. Potremmo tradurla così: come si manifesta la “prossimità” nell’uso dei mezzi di comunicazione e nel nuovo ambiente creato dalle tecnologie digitali? Trovo una risposta nella parabola del buon samaritano, che è anche una parabola del comunicatore. Chi comunica, infatti, si fa prossimo. E il buon samaritano non solo si fa prossimo, ma si fa carico di quell’uomo che vede mezzo morto sul ciglio della strada. Gesù inverte la prospettiva: non si tratta di riconoscere l’altro come un mio simile, ma della mia capacità di farmi simile all’altro. Comunicare significa quindi prendere consapevolezza di essere umani, figli di Dio. Mi piace definire questo potere della comunicazione come “prossimità”. […] Non basta passare lungo le “strade” digitali, cioè semplicemente essere connessi: occorre che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero. Non possiamo vivere da soli, rinchiusi in noi stessi. Abbiamo bisogno di amare ed essere amati. Abbiamo bisogno di tenerezza. Non sono le strategie comunicative a garantire la bellezza, la bontà e la verità della comunicazione. Anche il mondo dei media non può essere alieno dalla cura per l’umanità, ed è chiamato ad esprimere tenerezza. La rete digitale può essere un luogo ricco di umanità, non una rete di fili ma di persone umane. La neutralità dei media è solo apparente: solo chi comunica mettendo in gioco se stesso può rappresentare un punto di riferimento. Il coinvolgimento personale è la radice stessa dell’affidabilità di un comunicatore. Proprio per questo la testimonianza cristiana, grazie alla rete, può raggiungere le periferie esistenziali. Lo ripeto spesso: tra una Chiesa accidentata che esce per strada, e una Chiesa ammalata di autoreferenzialità, non ho dubbi nel preferire la prima. E le strade sono quelle del mondo dove la gente vive, dove è raggiungibile effettivamente e affettivamente. Tra queste strade ci sono anche quelle digitali, affollate di umanità, spesso ferita: uomini e donne che cercano una salvezza o una speranza. Anche grazie alla rete il messaggio cristiano può viaggiare «fino ai confini della terra» (At 1,8). Aprire le porte delle chiese significa anche aprirle nell’ambiente digitale, sia perché la gente entri, in qualunque condizione di vita essa si trovi, sia perché il Vangelo possa varcare le soglie del tempio e uscire incontro a tutti. Siamo chiamati a testimoniare una Chiesa che sia casa di tutti. Siamo capaci di comunicare il volto di una Chiesa così? La comunicazione concorre a dare forma alla vocazione missionaria di tutta la Chiesa, e le reti sociali sono oggi uno dei luoghi in cui vivere questa vocazione a riscoprire la bellezza della fede, la bellezza dell’incontro con Cristo. Anche nel contesto della comunicazione serve una Chiesa che riesca a portare calore, ad accendere il cuore.

La testimonianza cristiana non si fa con il bombardamento di messaggi religiosi, ma con la volontà di donare se stessi agli altri «attraverso la disponibilità a coinvolgersi pazientemente e con rispetto nelle loro domande e nei loro dubbi, nel cammino di ricerca della verità e del senso dell’esistenza umana» (Benedetto XVIMessaggio per la XLVII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2013). L’icona del buon samaritano, che fascia le ferite dell’uomo percosso versandovi sopra olio e vino, ci sia di guida. La nostra comunicazione sia olio profumato per il dolore e vino buono per l’allegria. La nostra luminosità non provenga da trucchi o effetti speciali, ma dal nostro farci prossimo di chi incontriamo ferito lungo il cammino, con amore, con tenerezza. Non abbiate timore di farvi cittadini dell’ambiente digitale. È importante l’attenzione e la presenza della Chiesa nel mondo della comunicazione, per dialogare con l’uomo d’oggi e portarlo all’incontro con Cristo: una Chiesa che accompagna il cammino sa mettersi in cammino con tutti. In questo contesto la rivoluzione dei mezzi di comunicazione e dell’informazione è una grande e appassionante sfida, che richiede energie fresche e un’immaginazione nuova per trasmettere agli altri la bellezza di Dio”[44]. Ogni sfida ha bisogno di accompagnamento e di discernimento[45]. La fraternità, sotto la guida del guardiano, svolge questo servizio di crescita affinchè vengano protette “la povertà, la vita di preghiera e il silenzio, la comunione fraterna e il lavoro, e nel medesimo tempo, tali mezzi servano al bene all’attività di tutti” (Cost 96,2).

Collaborazione tra circoscrizioni.

«Fraternità san Lorenzo da Brindisi»

“Membri di un Ordine di fratelli, alimentiamo in noi il senso di appartenenza all’intera Famiglia Cappuccina. Volentieri intraprendiamo e sviluppiamo la collaborazione tra le nostre circoscrizioni, sostenendo la vitalità del nostro carisma e il bene dell’Ordine più che la sopravvivenza di strutture” (Cost. 100, 1-2).

La collaborazione tra le circoscrizioni si realizza in diversi modi e a diversi livelli. Essa è un evento formativo sia nel senso sia che bisogna formarsi in questa direzione, sia nel senso che collaborare è già formazione ad un’appartenenza che ha un’identità internazionale. Essa è fatta di reciprocità tra chi accoglie un dono e chi lo riceve. “Consapevoli che il battesimo e la professione stabiliscono tra noi vincoli più orti dei legami naturali, accogliamo la molteplice ricchezza delle diverse culture, promuovendone anche tra di noi l’incontro e il dialogo” (Cost. 100, 5). Ogni esperienza di collaborazione è un’esperienza di fede[46] che arricchisce tutti: i frati che partono come quelli che accolgono. E allo stesso tempo - ogni esperienza di collaborazione - richiede a tutti ascesi relazionale: è un incontro tra culture, modi diversi di vivere il vangelo e il carisma francescano-cappuccino.

Nell’ambito della collaborazione tra le circoscrizioni, nasce il progetto: «Fraternità per l’Europa», ribattezzato “Fraternità san Lorenzo da Brindisi”[47].

Nella lettera all’Ordine all’inizio del sessennio il Ministro generale fr. R. Genuin scrive: “Il progetto si è così sviluppato e attualmente, seppur con modalità diverse, sono state costituite ed avviate le fraternità di Clermont Ferrand e Lourdes in Francia, di Kilkenny in Irlanda, di Anversa in Belgio, di León in Spagna e di Spello in Italia. Poiché l’iniziativa sembra già dare frutti assai positivi, e forti anche del mandato del Capitolo Generale, vogliamo impegnarci a sostenerla vieppiù. Per il momento, stiamo pensando e lavorando perché si costituiscano altre due fraternità con queste caratteristiche, segnatamente a Meersel-Dreef in Belgio, ai confini con l’Olanda, e nel santuario di Máriabesnyő, nostra antica presenza in Ungheria. Di seguito vorremmo anche valorizzare in questo senso le Celle di Cortona: uno dei nostri luoghi francescani per eccellenza, che crediamo possa rispondere veramente bene all’esigenza di molti frati di riassaporare alle radici la nostra spiritualità, di ritornare un po’ alle fonti, di trascorrere, per un tempo più o meno prolungato, un periodo sereno in un clima di semplicità, di preghiera e di accoglienza. Naturalmente, per tutte queste iniziative, chiediamo la disponibilità e l’entusiasmo di fratelli che desiderino lanciarsi un po’ nella bella avventura. Riferiscano la loro disponibilità ai propri Ministri Provinciali e al Consigliere Generale dell’area, i quali sapranno come coordinare tutto e rispondere al meglio, secondo i desideri che ciascuno coltiva e le nuove opportunità di crescita e di testimonianza che il Progetto offre”[48].

Queste fraternità costituiscono una rete carismatica e non sono fraternità «speciali». Così scriveva fr. M. Jöhri: «Desidero veder sorgere fraternità che vivano una fede schietta e profonda, dove la qualità delle relazioni fraterne diventa testimonianza dell’Amore di Dio, e luogo di accoglienza capace di generare proposte di sequela al Signore Gesù. Vogliamo evangelizzare con la nostra vita quotidiana e lo vogliamo fare in comunione con le Chiese locali e con le realtà ecclesiali là dove il Signore ci donerà di essere presenti»[49].

Uscire non è mai stato facile, come racconta il colloquio tra Francesco d’Assisi e il vescovo di Ostia, che così dice al frate: «“Perché hai inviato i tuoi frati così lontano a morire di fame e a sopportare chissà quali altre tribolazioni?”. Con grande fervore e ispirazione profetica Francesco ribatté: “Messere, credete voi che Dio abbia suscitato i frati soltanto per queste regioni? Ma io vi dico, in verità, che Dio ha scelto e mandato i frati per il bene e la salvezza delle anime di tutti gli uomini del mondo: non solo nei paesi dei cristiani, ma anche in quelli dei non credenti essi saranno accolti e conquisteranno molte anime”. Rimase stupito il vescovo di Ostia da tali parole, affermando che ciò era vero» (FF 1758).

Per incoraggiare le forme di collaborazione tra le circoscrizioni, fr. Roberto Genuin, ministro generale così scrive: “C’è anche un’altra forma di collaborazione tra Circoscrizioni, avviatasi già da tempo con molti effetti benefici, che crediamo di dover sostenere con il massimo impegno, perché pensiamo che caratterizzerà fortemente il futuro dell’Ordine: si tratta dell’apertura generosa, e qualificante la dimensione fraterna, alla collaborazione tra Circoscrizioni vicine o della stessa area. Chi si è già avviato con decisione su questa strada, ed ha affrontato senza scappare le difficoltà che anch’essa comporta, sa quanti benefici la collaborazione apporta, in particolare a vantaggio delle giovani generazioni dell’Ordine, che apprendono senza fatica ad essere aperte alla dimensione mondiale della nostra fraternità, senza venire perciò limitate o intristite dalle fragilità locali, perché fiduciose nella maggiore e pluriforme nostra grande ricchezza”[50].

Famiglia francescana

Noi frati minori cappuccini facciamo parte di una grande famiglia francescana. Condividiamo il nostro carisma con i frati del I Ordine che professano la Regola di S. Francesco, ma anche con le Clarisse, con l’OFS e la Gi.Fra. Il 23 dicembre 2018, la Conferenza dei Ministri generali del Primo Ordine francescano e del Terz’Ordine regolare ha scritto a tutti i frati, ai fratelli e sorelle dell’Ordine Francescano Secolare e della Gioventù Francescana, in occasione del 40° anniversario della promulgazione della Regola OFS[51]. Circa la reciproca custodia leggiamo in un passaggio della lettera: “La collaborazione e la comunione tra i membri della Famiglia Francescana, oggi più che mai, deve manifestarsi in una custodia reciproca e in un arricchimento vicendevole. Da una parte infatti, la Chiesa ha affidato ai frati del Primo Ordine e del TOR la cura spirituale e pastorale dell’OFS, come ricordato nella Regola: “In segno concreto di comunione e di corresponsabilità, i Consigli ai diversi livelli, secondo le Costituzioni, chiederanno religiosi idonei e preparati per l'assistenza spirituale ai Superiori delle quattro Famiglie religiose francescane, alle quali da secoli è collegata la Fraternità Secolare” (Reg OFS III, 26). Dall’altra, gli appartenenti all’OFS sono chiamati a manifestare l’indole secolare del carisma francescano, che è ciò che caratterizza la loro spiritualità e vita apostolica, e così, vivendo appieno la loro specifica chiamata, custodiranno a loro volta con la preghiera e con l’azione la vocazione dei frati di cui condividono il carisma[52].

“Memori della promessa di san Francesco a Chiara e alle sorelle povere di San Damiano, dobbiamo avere sempre diligente cura e speciale sollecitudine per le nostre sorelle del Secondo Ordine che, nella vita contemplativa, offrono quotidianamente il sacrificio della lode, cercano nelle solitudine e nel silenzio l’unione con Dio e dilatano la Chiesa con segreta fecondità apostolica” (Cost 101,3). Chiara d’Assisi scrive nel suo Testamento: “E [Francesco] mosso da affetto verso di noi, si obbligò verso di noi, per sé e per la sua Religione, ad avere sempre diligente cura e speciale sollecitudine di noi come dei suoi fratelli” (Testamento di Chiara, 29).[53]

Occorre sottolineare inoltre che “nell’ambito della Famiglia Francescana ha un posto particolare la Fraternità o Ordine Francescano Secolare, che ne condivide e ne promuove il genuino spirito e che è necessario alla pienezza del carisma francescano” (Cost. 102,1). Il comune carisma fa sì che la cura spirituale e pastorale dell’OFS sia affidata al Primo Ordine Francescano e al Terzo Ordine regolare (Cost. 102,3.)

La vita dei frati nel mondo

“San Francesco capì che la Chiesa è nata come una comunità e per questo egli fu profondamente convinto che il Vangelo avrebbe continuato a crescere nel mondo per mezzo della fraternità. Così egli mandò i suoi frati a due a due a proclamare la penitenza e la pace (1 Cel 29, FF 366; ib.30, FF 368; ecc.; cfr. Mc 6,7; Lc 10,1). Francesco vedeva se stesso come fratello; il che determinava il suo modo di servire e di proclamare il Vangelo. […] “Voglio che questa fraternità sia chiamata Ordine dei frati minori!” (1 Cel 38, FF 386). Era proprio la minorità che rendeva la primitiva fraternità francescana una forza evangelica tanto potente nel mondo”[54]. La sua conversione alla fraternità minoritica iniziò conoscendo la croce del Signore nostro Gesù Cristo. Da essa ha imparato quella “sapienza che ci è stata rivelata nell'epistola agli Efesini "Cristo... è la nostra pace... ci ha riconciliato con Dio... tramite la sua croce egli ha distrutto ciò che ci separava" (Ef 2,14 ss.). Pace e riconciliazione sono elementi fondamentali dell'apostolato di san Francesco. Nel suo Testamento, afferma infatti che fu lo stesso Signore a rivelargli le parole di augurio che lo hanno caratterizzato: “Il Signore ti dia Pace". Francesco ha cantato e pregato la pace e il perdono anche con queste parole: "Laudato si, mi Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore ... Beati quelli che ‘l sosterranno in pace, ca da te, Altissimo. siranno incoronati. San Francesco ha raggiunto la passione e l'amore per la pace e la riconciliazione a partire dalla sua esperienza di violenza e di divisione familiare, sociale e civica in Assisi e nell'Italia del XIII secolo. La croce gli ha svelato un'alternativa. In Francesco lo spirito di vendetta è diventato riconciliazione. La violenza diffusa e cieca che in molti modi tocca oggi tutto il mondo, deve risvegliare in noi la stessa passione per la pace e la riconciliazione. Cristo è la nostra pace! […] Francesco ha contemplato Cristo nel prossimo, Francesco ha contemplato Cristo nella croce di san Damiano, da questa sorgente di sapienza Francesco ha ispirato nei cittadini di Arezzo, Damietta, Assisi, Borgo San Sepolcro l'amore che riconcilia. Il cuore disarmato di Francesco ha ispirato nel suo mondo la pace creativa e riconciliatrice.”[55] La sua esperienza lo ha portato a dire: “Sono veri pacifici quelli che in tutte le contrarietà che sopportano in questo mondo, per amore del Signore nostro Gesù Cristo, conservano la pace nell'anima e nel corpo” (Am 15:FF 164). La pace ha fatto di Francesco e dei frati uomini di riconciliazione[56], inviati nel mondo per “curare le ferite, fasciare le fratture, richiamare gli smarriti”[57]. Nella Leggenda Perugina e nei Fioretti leggiamo alcuni episodi e notiamo che “una caratteristica notevole è la grande diversità degli strumenti usati per la riconciliazione stessa: Per riportare la pace a Montecasale e riconciliare i ladri, i frati prepararono un pasto con abbondante pane e buon vino (Fior XXVI:FF 1858); Per liberare Arezzo dai demoni dell'odio e della guerra Francesco inviò il santo predicatore Silvestro (Legper 81:FF 1637); Il canto di una nuova strofa del “Cantico delle creature” riconciliò il Vescovo e il Podestà di Assisi (Legper 44:FF 1593). Leggendo questi bei racconti, spesso mi sono chiesto come Francesco arrivò a scegliere questi “strumenti” di riconciliazione: pane e vino a Montecasale, Silvestro ad Arezzo, un canto ad Assisi. “Dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rom 5,20). Francesco ebbe l'intuizione evangelica di cercare i segni della redenzione proprio dove l'assenza era più evidente! L'ingiustizia nel nostro mondo raramente è eliminata da singoli grandi gesti. Il card. Arns dice che “gli eventi importanti della storia sono le mille umili azioni che guariscono e riconciliano”. Francesco andò dal Sultano. Tuttavia i suoi forzi maggiormente creativi per cambiare la società del suo tempo sono da ricercare nelle “umili azioni che guariscono e riconciliano” che egli fece in Umbria e nella Valle di Rieti. “La sapienza...è trovata da chiunque la cerca...la troverà seduta alla sua porta” (Sap 6,12-14). Lo Spirito Santo sta operando e cambiando il mondo. Deve essere speciale dono dei francescani, specialmente di coloro che desiderano con grande passione di cambiare le strutture della nostra società, di scoprire i nuovi e dinamici strumenti di giustizia e di riconciliazione che continuamente si manifestano nel mondo. Ciò richiede una visione contemplativa della fede. Come Francesco, cominciamo con lo scoprire le forze di speranza che sono presenti proprio alla nostra porta! […] Il primo cambiamento da ricercare è quello del nostro cuore e delle nostre fraternità. Le nostre fraternità sono chiamate ad essere “punto di riferimento cordiale e accessibile” per coloro che hanno sete di giustizia e di autentica fratellanza nel mondo.”[58] Nel carisma francescano l’accoglienza si completa con la dimensione missionaria che è amore preferenziale di Dio per l’umanità[59].

“Il cap. 13 del Vangelo di Giovanni divenne il modello definitivo che Francesco propose ai suoi frati, un modello che non dice solo come devono trattare gli uni con gli altri, ma anche come si devono comportare in relazione col mondo, cioè come frati minori. La rinuncia di Francesco al potere è in tutto e per tutto così radicale come la sua rinuncia alla proprietà. […] Noi viviamo come frati minori quando ci mettiamo a servizio dell'umanità cercando di stringere il mondo insieme in una fraternità universale. […]L'Ordine cappuccino è uno fra i pochi istituti religiosi che sia presente in tutto il mondo. Questo dono dell'universalità, che lo Spirito Santo ha reso una caratteristica privilegiata dell'Ordine nell'epoca moderna, ci offre l'esperienza di una variata gamma di sfide evangeliche. Allo stesso tempo tale dono di universalità porta con sé la speciale responsabilità di formulare risposte evangeliche in parole e in opere, risposte che siano coerenti con il nostro carisma”[60].

La minorità e la vita fraterna sono la nostra risposta evangelica alle domande dell’uomo[61]. Essa si esprime anche nel desiderio di dialogo con il mondo contemporaneo. “Questa forma di vita in fraternità costituisce una sfida e una proposta nel mondo attuale, spesso "lacerato dall'odio etnico o da follie omicide", percorso da passioni e da interessi contrastanti, desideroso di unità ma incerto "sulle vie da prendere" (cfrVita consecrata51). Vivere la fraternità da veri discepoli di Gesù può costituire una singolare "benedizione" per la Chiesa e una "terapia spirituale" per l’umanità (cfribid.,n. 87)”[62]. Chi dialoga infatti si mette in atteggiamento di discepolato e quindi di minorità. Papa Francesco scrive: “Pensiamo all’episodio dei discepoli di Emmaus. Occorre sapersi inserire nel dialogo con gli uomini e le donne di oggi, per comprenderne le attese, i dubbi, le speranze, e offrire loro il Vangelo, cioè Gesù Cristo, Dio fatto uomo, morto e risorto per liberarci dal peccato e dalla morte. La sfida richiede profondità, attenzione alla vita, sensibilità spirituale. Dialogare significa essere convinti che l’altro abbia qualcosa di buono da dire, fare spazio al suo punto di vista, alle sue proposte. Dialogare non significa rinunciare alle proprie idee e tradizioni, ma alla pretesa che siano uniche ed assolute”[63].

Visione francescana del mondo

L’amore fraterno può solo essere gratuito, non può mai essere un compenso per ciò che un altro realizza, né un anticipo per quanto speriamo che faccia. Per questo è possibile amare i nemici. Questa stessa gratuità ci porta ad amare e accettare il vento, il sole o le nubi, benché non si sottomettano al nostro controllo. Per questo possiamo parlare di una fraternità universale”[64]. Il rapporto con il creato è vissuto nella dimensione teologica della fraternità: “Godendo immensamente del mondo creato e redento, san Francesco si sentiva unito da vincolo fraterno non solo con gli uomini, ma anche con tutte le creature, come egli stesso le ha cantate con slancio mirabile nel Cantico di Frate Sole” (Cost. 105.1). Il creato è pertanto fraternamente legato all’umanità[65] e da essa può essere può riceverne beneficio o essere danneggiato. Papa Francesco scrive: «Le ferite inferte all’ambiente, sono inesorabilmente ferite inferte all’umanità più indifesa. Scrivevo nell’Enciclica Laudato si’: «Non ci sarà una nuova relazione con la natura senza un essere umano nuovo. Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia». [… ] Per favore, non dimenticate che giustizia sociale ed ecologia sono profondamente interconnesse!” [66]

Cogliere la dimensione di interdipendenza delle molteplici realtà create porta ad uno sguardo contemplativo verso il mondo. Ammirando le opere della creazione, delle quali Cristo è principio e fine (cfr. Cost 105,2), il cuore si apre alla lode del Dio Altissimo che è bellezza, custode e difensore, la “nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore” (LodAl 6 -7).

Conclusioni

Questo capitolo delle Costituzioni ci manifesta la bellezza di una vita evangelica fraterna e minoritica. Sembra opportuno, a conclusione, risentire la parola del Ministro generale fr. Roberto Genuin, che nella sua prima lettera circolare così scrive: “Proprio perché siamo certi che il Signore non rimane inerte come semplice spettatore dei nostri sforzi e dei nostri fallimenti, né si pone come semplice modello da imitare, ma è quotidianamente al nostro fianco ed è Lui che fa di noi ciò che Egli desidera, possiamo sempre intraprendere o riprendere con fiducia il cammino: abbiamo davanti a noi un gran bel tratto di strada da fare, siamo tutti consapevoli e uniti sui valori che qualificano la nostra identità carismatica, vogliamo impegnarci per incarnarli con maggiore autenticità, e il Signore saprà condurci con fedeltà ed efficacia”[67].

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[1] Ad esempio il n. 88.6 rinvia a Rnb 1,1.6,3; RB 1,1; 2,1.7; 12,1; 2Test 14; il n. 89.2 rinvia a Rnb 18,1; 2Test 14; 2Lf43; Lmin 17; 89.3 rinvia a Rnb 4,4; 6,2; 19,1; 11,6.9; 9,10;14,6; Am 3,5-6; 12; 14; Lmin 17; Salvir 12; il n. 90.1 rinvia a RnB 6,3;22,33; 2Test; il n. 90.2 rinvia Rnb 4; 6,3-4; il n. 90.3 rinvia a RB 7,2; il n. 92.1 rinvia a Rnb 8;10; RB 6,9; Am 24; il n. 92.2 rinvia a Rnb 9,11; RB 6,8; il n. 92.3 rinvia a Rnb 10,1ss; RB 6,8-9; il n. 92.4 rinvia a Rnb 10; il n. 93.1.2 rinvia a Rnb 10,3-4; il n. 93.3 rinvia a Rnb 10,3; 23,7; Am 5,8; il n. 95.5 rinvia a Rnb 7,13ss; il n. 97.4 rinvia a Rnb 15,2; RB 3,10-14; il n. 98.1 rinvia a Rnb 7,16; RB 6,7-8; il n. 99.4 rinvia a RB 6,7; il n. 99.5 rinvia a Rnb 4,2; RB 10,1; il n. 102.6 rinvia a Rnb 1,1; 2Lf 13; Lord 51; Lfl3; il n. 104 rinvi a Rnb 9,5; il n. 105.4 rinvia a Rnb 23,1-7; 2Lf 1-15; il n. 106.1 rinvia a Rnb 9,1; 16,7-9; Rnb 27; Lord 9; il n. 106 rinvia a Rnb 22; 1Lf14-19; 2Lf 56-60; il n. 106.3 rinvia ad Am 13-16;18; il n. 106.4 rinvia a RB 12,4; il n. 107.1 rinvia a Rnb 14,2; RB 3,13; 2Test 23; Lrp 1; BfL 2; il n. 108.1 rinvia a RB 3,10-14; il n. 108.2 rinvia a Rnb 7,101-12; 8,1-2; 22,15ss; RB 10,7; il n. 108.5 rinvia a Rnb 17,6; 23,1; LOrd 1;15; Lora 11; PCr 1; UffPass 2.

[2] Riguardo la Regola Bollata si riportano alcuni testi: RB 3,10-14: “Consiglio, poi, ammonisco ed esorto i miei frati nel Signore Gesù Cristo, che quando vanno per il mondo, non litighino ed evitino le dispute di parole e non giudichino gli altri; ma siano miti, pacifici e modesti, mansueti e umili, parlando onestamente con tutti, così come conviene. E non debbano cavalcare se non siano costretti da evidente necessità o infermità. In qualunque casa entreranno, dicano prima di tutto: Pace a questa casa; e secondo il santo Vangelo, sia loro lecito mangiare di tutti i cibi che saranno loro messi davanti”; RB 6,7-9: “E ovunque sono e si incontreranno i frati, si mostrino tra loro familiari l’uno con l’altro. E ovunque sono e si incontreranno i frati, si mostrino tra loro familiari l’uno con l’altro. E ciascuno manifesti all’altro con sicurezza le sue necessità, poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, quanto più premurosamente uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale? E se qualcuno dei essi cadrà malato, gli altri frati lo devono servire come vorrebbero essere serviti essi stessi”; RB 10,1.7: “I frati, che sono ministri e servi degli altri frati, visitino e ammoniscano i loro fratelli e li correggano con umiltà e carità, non comandando ad essi niente che sia contro la loro anima e la nostra Regola. [] Ammonisco poi ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino i frati da ogni superbia, vana gloria, invidia, avarizia, cura e preoccupazione di questo mondo, dalla detrazione e dalla mormorazione”; RB 12,1.4: “Tutti i frati, che per divina ispirazione, vorranno andare tra i saraceni e tra gli altri infedeli, ne chiedano il permesso ai loro ministri provinciali. [] affinchè sempre sudditi e soggetti ai piedi della medesima santa Chiesa, stabili nella fede cattolica, osserviamo la povertà e l’umiltà e il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, che abbiamo fermamente promesso”.

[3] Tra i molteplici e validi studi sulla Regola si propongono in particolare: P. Maranesi – F. Accrocca (edd.), La Regola di frate Francesco. Eredità e sfida, Padova 2012; F. Uribe, La Regola di san Francesco. Lettera e spirito, Bologna 2011.

[4] J. Corriveau, Vi mando per il mondo intero affinchè rendiate testimonianza con la parola e con le opere, 1996

[5] M. Jöhri, Ravviviamo la fiamma del nostro carisma, 2008.

[6] Cfr. Perfectae Caritatis, 1: “Fin dai primi tempi della Chiesa vi furono uomini e donne che per mezzo della pratica dei consigli evangelici vollero seguire Cristo con maggiore libertà ed imitarlo più da vicino, e condussero, ciascuno a loro modo, una vita consacrata a Dio. Molti di essi, sotto l'impulso dello Spirito Santo, vissero una vita solitaria o fondarono famiglie religiose che la Chiesa con la sua autorità volentieri accolse ed approvò. Cosicché per disegno divino si sviluppò una meravigliosa varietà di comunità religiose, che molto ha contribuito a far sì che la Chiesa non solo sia atta ad ogni opera buona e preparata al suo ministero per l'edificazione del corpo di Cristo (cfr. Ef 4,12), ma attraverso la varietà dei doni dei suoi figli appaia altresì come una sposa adornata per il suo sposo (cfr. Ap 21,2), e per mezzo di essa si manifesti la multiforme sapienza di Dio (cfr. Ef 3, 10). In tanta varietà di doni, tutti coloro che, chiamati da Dio alla pratica dei consigli evangelici, ne fanno fedelmente professione, si consacrano in modo speciale al Signore, seguendo Cristo che, casto e povero (cfr. Mt 8,20; Lc 9,58), redense e santificò gli uomini con la sua obbedienza spinta fino alla morte di croce (cfr. Fil 2,8). Così essi, animati dalla carità che lo Spirito Santo infonde nei loro cuori (cfr. Rm 5,5) sempre più vivono per Cristo e per il suo corpo che è la Chiesa (cfr. Col 1,24). Quanto più fervorosamente, adunque, vengono uniti a Cristo con questa donazione di sé che abbraccia tutta la vita, tanto più si arricchisce la vitalità della Chiesa ed il suo apostolato diviene vigorosamente fecondo”; Cfr. anche Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, La vita fraterna in comunità. “Congregavit nos in unum Christi amor”, 2 febbraio 1994.

[7] Vita Consecrata, 41. Chiari i riferimenti anche a Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, La vita fraterna in comunità. “Congregavit nos in unum Christi amor”, 2 febbraio 1994.

[8] Frate Francesco annunciando la sua intenzione di scrivere la Lettera a Tutti i Fedeli afferma: “... di riferire a voi le parole del Signore nostro Gesù Cristo, che è il Verbo del Padre, e le parole dello Spirito Santo” (A Tutti i Fedeli, 3 FF 180).[…] “...amiamo, onoriamo, adoriamo, serviamo, lodiamo e benediciamo, glorifichiamo ed esaltiamo, magnifichiamo e ringraziamo l’altissimo e sommo eterno Dio, Trino e uno, Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, Salvatore di chi opera e crede in Lui, di chi ama Lui: il quale, senza inizio e senza fine, immutabile, invisibile, inenarrabile, ineffabile, incomprensibile e ininvestigabile, benedetto, degno di lode, glorioso, sopraesaltato, sublime, eccelso, soave, amabile, dilettevole e tutto sempre e sopra tutte le cose è desiderabile nei secoli dei secoli” (Rnb XXIII, 32 - 32, FF 72). Francesco sperimenta la Trinità come “Rapporto di Amore Inesprimibile”, rivelatoci nel Mistero dell’Incarnazione. “L’altissimo Padre annunciò ... questo suo Verbo, ... per mezzo del suo arcangelo Gabriele alla santa e gloriosa Vergine Maria, dalla quale ricevette la carne della nostra fragile umanità.” (A Tutti I Fedeli, 4). Noi facciamo parte di questo “Rapporto di Amore Inesprimibile”. “Oh, come è glorioso, santo e grande avere in cielo un Padre ! Oh, come è santo e bello e amabile avere in cielo uno Sposo ! Oh, come è santo, come è caro, piacevole e umile, pacifico e dolce e amabile e sopra ogni cosa desiderabile avere un tale fratello” (A Tutti i Fedeli, IX, 54-56).

[9] J. Corriveau, Immagine della sua stessa divinità, 2006

[10] J. Corriveau, La fraternità evangelica in un mondo che cambia, 2002: “Prima del Concilio Vaticano II spesso si parlava della Chiesa come società perfetta che guida le anime a Dio (cfr., per esempio, l’Enciclica di Pio XI, Mortalium Animos, del 6 gennaio 1928: “Cristo nostro Signore ha istituito la sua Chiesa come perfetta società... che deve portare avanti... l’opera della salvezza del genere umano”). Nel quadro di questa visione teologica e della impostazione canonica del tempo, l’Ordine cappuccino era considerato come un istituto clericale dedito alla salvezza delle anime, perché era particolarmente mediante i molteplici ministeri clericali che l’Ordine adempiva il mandato della Chiesa.”

[11] J. Corriveau, La fraternità evangelica in un mondo che cambia, 2002.

[12] Cfr. Pietro Maranesi, Il Sogno di Francesco. Rilettura storico-tematica della Regola dei Frati Minori alla ricerca della sua attualità, Assisi 2011.

[13] M. Jöhri, Idendità e appartenenza cappuccina, 2014.

[14] La vita fraterna minoritica è il nostro modo specifico di contribuire all’annunzio del Vangelo e alla missione: “La stessa vita fraterna, fermento di comunione ecclesiale, è profezia dell’unità definitiva del popolo di Dio e costituisce una testimonianza essenziale per la missione apostolica della Chiesa.” (Cost. 88, 4).

[15] R. Genuin, Ringraziamo il Signore. Lettera all’Ordine all’inizio del nuovo sessennio, 2019

[16] “E’ tuttavia necessario ricordare che difficilmente queste parole basteranno a insegnarci il modo effettivo di essere, in senso evangelico, fratelli, se non teniamo costantemente davanti un modello convincente e quasi visivo cui ispirarsi; senza di esso ricadremo inevitabilmente nel modo umano di fare fraternità. E questo modello è Cristo che “primogenito tra molti fratelli, fa di tutti gli uomini una vera fraternità” (T. Ricci (ed.), Il “patrimonio spirituale” delle costituzioni dei frati minori cappuccini, Curia Generale OFMCap, Roma 1991, 84-85)

[17] Cfr. AA.VV., Francesco d’Assisi e il primo secolo di storia francescana, Biblioteca Einaudi, Torino 1997; L. Pellegrini, Frate Francesco e i suoi agiografi, Edizioni Porziuncola, Assisi 2004; P. Maranesi, La relazione tra fratelli, in P. Maranesi – F. Accrocca (a cura di), La regola di frate Francesco. Eredità e sfida, Editrici Francescane, Padova 2012, 507-549; F. Accrocca, L’identità complessa. Percorsi francescani fra Due e Trecento, Centro Studi Antoniani, Padova 2014.

[18] Il 18 settembre 1996 il Santo Padre Giovanni Paolo II così scrive: “I Cappuccini vantano una ricca tradizione di vita consacrata laicale, che fin dalle origini ne ha segnato l’esistenza e l’apostolato. Penso a quell’ampia schiera di “fratelli laici” che ancora oggi risplendono come luminosi esempi di santità e magnifici modelli del particolare stile francescano, fatto di testimonianza feriale del Vangelo e di condivisione della vita della gente umile e semplice. Desidero innanzitutto ricordare, a tale proposito, Felice da Cantalice, che seppe portare sulle strade della Città eterna il fermento della carità evangelica, avvicinando con il medesimo spirito di semplicità e di minorità tanto la gente comune ed i poveri, quanto gli alti dignitari civili ed ecclesiastici, i quali ricercavano la sua compagnia e ricorrevano volentieri al suo illuminato consiglio. Che dire poi dei miracoli di grazia operati nel Popolo di Dio da Serafino da Montegranaro, Ignazio da Làconi, Francesco Maria da Camporosso, Corrado da Parzham e da tanti altri fratelli che, nell’impegno della questua, nel servizio della portineria, o nella cura della chiesa e del convento, seppero esprimere l’amore a Cristo attinto nell’intimità delle lunghe ore trascorse in meditazione ed in preghiera. Nell’Esortazione Apostolica post-sinodale Vita consecrata ho delineato le caratteristiche fondamentali della spiritualità della vita consacrata laicale e la sua attualità per il nostro tempo (cf. Ivi, n. 60). Nello stesso Documento ho ricordato come all’interno della Chiesa siano presenti Istituti religiosi chiamati “misti”, “che nel progetto originario del fondatore si configuravano come fraternità, nelle quali tutti i membri - sacerdoti e non sacerdoti - erano considerati uguali tra di loro” (Ivi, n. 61). È noto come Francesco d’Assisi, descrivendo nel Testamento gli inizi della sua esperienza spirituale e quella dei primi compagni, sottolinei proprio l’aspetto della fraternità: “E dopo che il Signore mi donò dei fratelli, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo” (Fonti Francescane, n. 116). Codesto Ordine religioso costituisce dunque una fraternità, composta da chierici e laici che condividono la stessa vocazione religiosa secondo il carisma francescano e cappuccino, descritto nei suoi tratti essenziali dalla propria legislazione approvata dalla Chiesa (cf. Costituzioni, n. 4).”

Fr. John Corriveau nel 1997 in Fraternità evangelica, riprendendo la risposta del Santo Padre sottolineava: “Il Papa Giovanni Paolo II riconosce questo importante sviluppo avvenuto nella nostra fraternità internazionale nella sua lettera datata 18 settembre 1996. In essa fa una dichiarazione eccezionalmente significativa circa la natura e missione del nostro Ordine nella Chiesa: “Codesto Ordine religioso costituisce dunque una fraternità, composta da chierici e laici che condividono la stessa vocazione religiosa secondo il carisma francescano e cappuccino, descritto nei suoi tratti essenziali dalla propria legislazione approvata dalla Chiesa.”

Il contenuto e l’importanza di tale affermazione risaltano maggiormente quando consideriamo il contesto dell’affermazione del Papa. Egli stesso la colloca nel contesto dell’Esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata. L’Esortazione apostolica afferma che “la vita consacrata per natura sua non è né laicale né clericale” (n. 60). E definisce poi tre differenti tipi d’istituti di vita consacrata: “gli istituti laicali... hanno carattere e finalità che non comportano l’esercizio dell’ordine sacro” (n. 60); “gli istituti clericali... prevedono l’esercizio dell’ordine sacro... il ministero sacro è costitutivo del carisma stesso e ne determina l’indole, il fine, lo spirito” (n. 60); “gli istituti misti... si configuravano come fraternità, nelle quali tutti i membri - sacerdoti e non sacerdoti - erano considerati uguali tra di loro” (n. 61). L’Esortazione indica chiaramente che la vita fraterna è comune a tutti gli istituti di vita consacrata (cfr. n. 42; e anche “La vita fraterna in comunità”, n. 59b). Ciò che distingue gli istituti misti dagli istituti clericali o laicali è il fine della fraternità. Negli ultimi due tipi di istituti, la fraternità ha come fine primario il sostegno materiale, umano e spirituale dei membri nei loro ministeri. Lo scopo fondamentale di un tale istituto quindi risiede altrove, per esempio, nel ministero sacro che conferisce all’istituto la sua “indole, fine e spirito”. Un istituto misto invece esiste per il fine della fraternità che definisce l’indole e lo spirito della sua presenza e del suo servizio nella Chiesa e nel mondo […] La sfida di creare fraternità evangeliche implica la riconsiderazione del ministero quale servizio reso dalla nostra fraternità alla Chiesa e al mondo. Ciò indica che i servizi che richiedono la collaborazione di vari membri della fraternità devono avere la precedenza su quelli che sono espressioni individuali. La varietà dei doni di grazia e di natura dovrebbe operare insieme per il bene comune. Un eccellente studio storico, presentato al Convegno sulla vocazione cappuccina nelle sue espressioni laicali, suggerisce che la clericalizzazione dell’Ordine è iniziata quando i doni dei nostri fratelli laici sono stati limitati al servizio della fraternità come tale. Tagliati fuori dal contatto ministeriale con la gente, fu loro anche proibito di accedere all’istruzione. Il risultato è stato appunto la clericalizzazione del nostro Ordine, un processo per il quale esso è andato definendo il proprio fine sempre più in termini di ministeri clericali. Tale fenomeno ha privato la nostra azione evangelica dei carismi e dei doni di una parte considerevole ed essenziale della fraternità. I segni dei tempi suggeriscono che tale processo deve essere cambiato; e questo non minimizzando tra di noi i ministeri clericali, ma incoraggiando l’espressione di tutti i doni dei nostri fratelli laici” ( J. Corriveau, Fraternità evangelica, 1997).

[19] Il ministro generale fr. Flavio Roberto Carraro aveva scritto nel 1985 nella lettera circolare Fratelli per vocazione: “S. Francesco non ha fondato un Ordine di chierici, ma una fraternità composta di chierici e di non –chierici con pari diritti e doveri, uguali come fratelli, salvo quanto dipende dall’Ordine sacro”. Il ministro generale fr. John Corriveau nel 1995 nella Lettera circolare n.6. diceva: “I frati sono uguali, ma non sono identici! I frati chierici e i frati laici hanno la stessa vocazione, ma i loro differenti modi di essere nella Chiesa e nella società significano che essi hanno pure differenti esperienze nel vivere la stessa vocazione. Ogni esperienza apporta una sua propria ricchezza alla nostra comune vocazione. Basta pensare al contributo che hanno dato alla nostra spiritualità san Lorenzo da Brindisi o il beato Diego Giuseppe da Cadice e quello dato da san Felice da Cantalice o da san Corrado da Parzham.” Il ministro generale fr. J. Corriveau, nella Lettera circolare n.6, del 1995 scriveva: “Tradizionalmente i sacerdoti cappuccini sono stati predicatori e confessori, i fratelli laici questuanti e portinai e impegnati nei lavori della casa. L'Ordine apprezza profondamente i servizi di predicatore e di confessore; e tuttavia l'"immagine" del sacerdote cappuccino si è sviluppata assai al di là di tali ruoli tradizionali. Questo sviluppo si è avuto non tanto a causa di una nuova "definizione" del sacerdote cappuccino, quanto piuttosto come risposta alle necessità della Chiesa e della società. Le nostre Costituzioni invece di dare una definizione del nostro ruolo ministeriale, delineano le relazioni esistenti fra tale ruolo e i nostri valori essenziali, quali la fraternità, la povertà, la minorità, ecc. E come l'Ordine continua a valutare l'"immagine tradizionale" dei fratelli sacerdoti anche se il loro ruolo sta evolvendosi, così l'Ordine valuta e continuerà a far tesoro dell'"immagine tradizionale" dei nostri fratelli laici anche se i loro ruoli nella Chiesa e nella società si stanno evolvendo. Siamo coscienti che le necessità della Chiesa e della società spingono ad una tale evoluzione nel ruolo dei nostri fratelli laici come portatori dell'amore evangelico nel mondo. Tutto ciò richiede anche che l'Ordine incoraggi i fratelli laici a continuare a sviluppare la loro presenza e i loro ruoli nella società e nella Chiesa al di là dei ruoli loro assegnati tradizionalmente. Un tale sviluppo è già in corso. Tuttavia richiede dialogo e riflessione. Siccome normalmente nelle Province esiste solo un piccolo numero di fratelli laici, è stato per loro molto difficile ripensare in modo approfondito la trasformazione del loro ruolo nella Chiesa e nella società […]Il nostro Ordine, che ha come suo carisma fondazionale la fraternità e quindi l'uguaglianza e l'unità dei fratelli chierici e dei fratelli laici, ha una speciale responsabilità di offrire alla Chiesa modelli concreti di tali ruoli ”.

Scriveva il ministro generale fr. Mauro Jöhri, «da anni ormai stiamo chiedendo e insistendo presso la Santa Sede perché ci venga concessa la grazia di vivere quanto San Francesco ha previsto nella Regola, che cioè tutti i membri del nostro Ordine possano essere eletti o nominati per tutti i servizi e gli uffici previsti dalle nostre Costituzioni». Si legge infatti al capitolo VII della Regola Bollata : «I ministri, poi, se sono sacerdoti, loro stessi impongano con misericordia ad essi la penitenza; se invece non sono sacerdoti, la facciano imporre da altri sacerdoti dell’Ordine, così come sembrerà loro più opportuno, secondo Dio» (FF 94). Il tema dell’identità fraterna minoritica è l’eredità preziosa di San Francesco: «Chi sceglie la nostra vita, sceglie in primo luogo di diventare un fratello minore. Questa è la scelta fondamentale e che sta a monte di ogni specificazione susseguente. Nell’Ordine fondato da San Francesco non ci sono categorie, ci sono fratelli e c’è ogni fratello. Ne consegue che la vita fraterna e la capacità di relazionarci a tutti indistintamente deve avere il primato nel nostro cammino quotidiano. I miei predecessori hanno scritto pagine intense su questo ed i CPO (cfr. I, 20-22; II, 22; IV, 14. 22; VII, 7) più volte hanno messo debitamente in luce lo stesso aspetto» (M. Jöhri, Ravviviamo la fiamma del nostro carisma!, 2008). Nel 2015, diceva ancora lo stesso, ministro Generale fr. M. Jöhri scriveva: “Voglio anche ribadire quanto abbiano insistito sull’argomento i miei due predecessori, Fr. Flavio Roberto Carraro (1982-1994) e Fr. John Corriveau (1994-2006), i quali non si sono lasciati sfuggire nessuna occasione per presentare questa nostra istanza presso le autorità competenti. Lo stesso va detto anche di precedenti Capitoli generali. La stessa domanda è condivisa dalle altre famiglie francescane (OFM, OFM CONV, TOR); ci siamo rivolti insieme al Santo Padre per chiedere la grazia sopra menzionata[19]. Anche gli Ordini monastici si stanno muovendo nello stesso senso. Ho avuto occasione di parlarne direttamente sia a Papa Benedetto XVI che a Papa Francesco; ho presentato la nostra richiesta ai responsabili della Congregazione per la Vita Consacrata e la questione è stata sollevata più volte durante le Assemblee della Unione Superiori Generali» ” (M. Jöhri, Il dono irrinunciabile dei fratelli laici per il nostro Ordine, 2015).

[20] R. Genuin, Ringraziamo il Signore. Lettera all’Ordine all’inizio del nuovo sessennio, 2019.

[21] Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte, 43.

[22] Papa Francesco, Omelia del 2 febbraio 2016.

[23] Giovanni Paolo II, Vita Consacrata, 92.

[24] Il Santo Padre Francesco all’Incontro con i partecipanti al giubileo della Vita Consacrata, il 1° febbraio 2016, così diceva “Io so che nelle vostre comunità mai si chiacchiera, mai, mai!… Un modo di allontanarsi dei fratelli e delle sorelle della comunità è proprio questo: il terrorismo delle chiacchiere. Sentite bene: non le chiacchiere, il terrorismo delle chiacchiere. Perché chi chiacchiera è un terrorista. È un terrorista dentro la propria comunità, perché butta come una bomba la parola contro questo, contro quello, e poi se va tranquillo. Distrugge! Chi fa questo distrugge, come una bomba, e lui si allontana. Questa, l’apostolo Giacomo diceva che era la virtù forse più difficile, la virtù umana e spirituale più difficile da avere, quella di dominare la lingua. Se ti viene di dire qualcosa contro un fratello o una sorella, buttare una bomba di chiacchiera, morditi la lingua! Forte! Terrorismo nelle comunità, no! “Ma Padre se c’è qualcosa, un difetto, qualcosa da correggere?”. Tu lo dici alla persona: tu hai questo atteggiamento che mi dà fastidio, o che non sta bene. O, se non è conveniente – perché alle volte non è prudente –, tu lo dici alla persona che può rimediare, che può risolvere il problema e a nessun altro. Capito? Le chiacchiere non servono. “Ma in capitolo?”. Lì sì! In pubblico, tutto quello che senti che devi dire; perché c’è la tentazione di non dire le cose in capitolo, e poi di fuori: “Hai visto la priora? Hai visto la badessa? Hai visto il superiore?...”. Ma perché non lo ha detto lì in capitolo?... È chiaro questo? Sono virtù di prossimità. E i Santi avevano questo, i Santi consacrati avevano questo”.

[25] R. Genuin, Ringraziamo il Signore. Lettera all’Ordine all’inizio del nuovo sessennio, 2019

[26] Sulle dinamiche del capitolo locale confronta: G. Salonia, Kairos, EDB, Bologna 1994; V. Veith, Il Capitolo locale, EDB, Bologna 1993. Nei rispettivi testi è presente un’ulteriore bibliografia per eventuali approfondimenti.

[27] Cfr. Salonia G., Odos. La via della vita. Genesi e guarigione dei legami fraterni, EDB, Bologna 2007.

[28] J. Corriveau, Fraternità evangelica, 1997.

[29] G. Salonia, Sulla felicità e dintorni. Tra corpo, parola e tempo, Il pozzo di Giacobbe, 2011.

[30] Papa Francesco, Omelia del 2 febbraio 2014.

[31] Papa Francesco, Omelia del 2 febbraio 2015.

[32] G. Salonia, Odos. La via della vita. Genesi e guarigione dei legami fraterni, 165.

[33] Giovanni Paolo II, Vita Consacrata, 109.

[34] Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 92.

[35] Scrivendo alle Poverelle così dice “Quelle ke sunt aggravate de infirmitate et l’altre ke per loro suò affatigate, tutte quante lo stostengate en pace” (Aud 9-11: FF 263/1).

[36] Più sobria appare nella RB l’attenzione agli infermi: “E se qualcuno di essi cadrà malato, gli altri frati lo devono servire così come vorrebbero essere serviti essi stessi” (RB VI: FF 92).

[37] Cfr. anche “Ma in momenti di manifesta necessità i frati non siano tenuti al digiuno corporale” (RB III: FF 84).

[38] Anche nella RB IV: FF 87 è affermato lo stesso concetto: “Comando fermamente a tutti i frati che in nessun modo ricevano denari o pecunia, direttamente o per interposta persona. Tuttavia per le necessità degli infermi e per vestire gli altri frati i ministri e i custodi , ed essi soltanto per mezzo di amici spirituali si prendano sollecita cura secondo i luoghi e i tempi e i paesi freddi, così come sembrerà convenire alla necessità”.

[39] “Beato l’uomo che offre un sostegno al suo prossimo per la sua fragilità, in quelle cose in cui vorrebbe essere sostenuto da lui, se si trovasse in un caso simile” (Am XVIII,1: FF167).

[40] Nella Parafrasi al Padre nostro, la comunione con gli uomini si trasforma nel soffrire “insieme con loro” per i mali che li assoggettano (Pater 5: FF 270). Per una lettura teologico-spirituale della Regola Bollata cfr. T. Matura, Lettura spirituale della Regula Bullata Fratrum Minorum, in Italia Francescana 84 (2009) 1, 67-87.

[41] Cfr. M. Scala, La misericordia nell’esperienza cristiana di Francesco d’Assisi secondo gli Scritti, in Italia Francescana 91 (2016) 3, 439-448.

[42] cfr. D. Dozzi, La Regola di San Francesco tra Vangelo e vita, in Italia Francescana 84 (2009) 1, 49-66.

[43] Papa Francesco, Incontro del Santo Padre Francesco con i partecipanti al Giubileo della Vita Consacrata, 1 febbraio 2016.

[44] Papa Francesco, Messaggio del Santo Padre Francesco per la XLVIII giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 24 gennaio 2014.

[45] Congregazione per gli Istituti di vita Consacrata e le Società di vita apostolica, La vita fraterna in comunità. “Congregavit nos in unum amor” (2 febbraio1994), 34: “Il considerevole impatto dei mass media sulla vita e la mentalità dei nostri contemporanei tocca anche le comunità religiose e ne condiziona non raramente la comunicazione interna. La comunità quindi, conscia del loro influsso, si educa ad utilizzarli per la crescita personale e comunitaria con la chiarezza evangelica e la libertà interiore di chi ha imparato a conoscere Cristo (cfr. Gal 4,17-23). Essi, infatti, propongono e spesso impongono una mentalità e un modello di vita che va confrontato continuamente con il Vangelo. A questo riguardo da molte parti si richiede una approfondita formazione alla recezione e all'uso critico e fecondo di tali mezzi. Perché non farne oggetto di valutazione, di verifica, di programmazione nei periodici incontri comunitari? […] Si impone un giusto equilibrio: l'uso moderato e prudente dei mezzi di comunicazione (44), accompagnato dal discernimento comunitario, può aiutare la comunità a conoscere meglio la complessità del mondo della cultura, può permettere una recezione confrontata e critica, ed aiutare infine a valorizzare il loro impatto in vista dei vari ministeri per il Vangelo.”

[46] Cfr. J. Corriveau, La fraternità evangelica in un mondo che cambia. Identià, Missione, animazione, 2002. In un passaggio così è detto: “Il battesimo - e la sua particolare attuazione nei vincoli della fraternità francescana - modella una solidarietà, un’unità e una mutua dipendenza che sono più forti ed efficaci di qualsiasi vincolo etnico. L’acqua è più forte del sangue! Ciò richiede una profonda conversione. La conversione che scaturisce dal battesimo e la conversione alla fraternità francescana devono essere espresse nella decisione di agire in modo diverso e di dare concreta espressione alla visione della Regola: Se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, quanto più premurosamente uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale? (Rb VI,8).”

[47] A Fatima, dal 1 al 5 dicembre 2014, il Consiglio generale, i Ministri provinciali, i Custodi e i Delegati dell’Europa, unitamente ai Presidenti delle Conferenze del nostro Ordine, si sono ritrovati per «parlare dell’Europa». In seguito a quest’assemblea, l’allora Ministro generale f. M Jöhri ha inviato la lettera Fraternità per l’Europa: Riflessioni e indicazioni dopo l’incontro di Fatima, condividendo alcune impressioni. Ad esse si è aggiunta la proposta di come si intende proseguire il cammino: «La collaborazione del personale avviata in alcune Province Europee non ha risolto i problemi esistenti e non è stata in grado di generare nuova vita. Vogliamo tentare un nuovo cammino, costituendo fraternità interculturali, che alla luce del vangelo e delle nostre Costituzione vivano la preghiera, la vita fraterna e la missione in modo autentico e coerente. La risorsa dell’interculturalità sarà la testimonianza, che fratelli provenienti da diverse culture, se guardano a Cristo presente tra loro, possono vivere, donarsi e lavorare insieme. Ci sostiene la consapevolezza che il carisma di Francesco d’Assisi, vissuto e testimoniato ha ancora tanto da dire e comunicare agli uomini e alle donne del nostro tempo. Non sappiamo ancora quale sarà l’esito di questo cammino; ma con la speranza nel cuore vogliamo iniziare a muovere i primi passi».

[48] R. Genuin, Ringraziamo il Signore. Lettera all’Ordine all’inizio del nuovo sessennio, 2019. Così dice ancora nella stessa Lettera:“Visti i risultati positivi e la spinta del Capitolo, il Consiglio Generale intende poi verificare la possibilità di avviare anche in America una qualche fraternità interculturale, come il "Progetto Fraternità per l'Europa"; riteniamo infatti che possa essere uno strumento valido per dare linfa nuova anche ad altre Circoscrizioni fuori dai limiti territoriali del vecchio continente. Allora, per superare la designazione geografica e prendendo a riferimento quest’anno giubilare dedicato a San Lorenzo da Brindisi – uomo che sapeva coniugare mirabilmente prolungata preghiera, preparazione culturale e impegno instancabile per impiantare con efficacia e far progredire rigogliosamente l’Ordine – si è pensato di titolare il Progetto non più ormai "Fraternità per l'Europa" ma "Fraternità San Lorenzo da Brindisi”.

[49]M. Jöhri, Fraternità per l’Europa: Riflessioni e indicazioni dopo l’incontro di Fatima, 2015.

[50] R. Genuin, Ringraziamo il Signore. Lettera all’Ordine all’inizio del nuovo sessennio, 2019.

[51] Papa Paolo VI il 24 giugno 1978, con lettera apostolica Seraphichus Patriarcha, ha approvato la Regola rinnovata dell’Ordine Francescano Secolare.

[52] La Conferenza dei ministri generale del Primo Ordine francescano e del Terz’Ordine regolare ha scritto a tutti i frati e ai fratelli e sorelle dell’Ordine Francescano Secolare e della Gioventù Francescana in occasione del 40° anniversario della promulgazione della Regola OFS, 23 dicembre 2018.

[53] Fr. John Corriveau scrisse nel 2006: “La testimonianza delle Clarisse è di grande importanza per i fratelli del Primo Ordine. Nel VI e VII CPO abbiamo scoperto che la nostra povertà e minorità costruisce la comunione della Chiesa e del mondo. Gli scritti della sorella Chiara offrono ai frati un richiamo: “Guarda, medita, contempla e brama di imitarlo”. Quando “imitare” è staccato da “guarda, medita e contempla” si cade nel solo attivismo sociale. […] L’impegno delle Sorelle Clarisse rimane come una sfida costante per i frati, indicando che non è possibile imitare senza guardare, considerare e contemplare. Citando ancora una volta papa Benedetto XVI anche di Chiara possiamo affermare “Chi va verso Dio non si allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicino” (Benedetto XVI, Deus caritas est, 42). La vitalità spirituale di Santa Chiara si estese al di là della clausura di San Damiano fino a raggiungere Praga e la vita di Agnese e delle sorelle, ma raggiunse, anche i poveri fuori dalla porta di san Damiano, coinvolse i poveri dell’Umbria nella stessa vita del monastero. La sua presenza chiusa nello spazio di Dio l’ha circondata di uomini e donne che hanno riconosciuto che la sua preghiera aveva un solo potere, quello dell’Amore, l’unico potere che crea Vita” (J. Corriveau, Immagine della sua stessa divinità, 2006. ). Anche fr. M. Jöhri ha voluto sottolineare il legame con le sorelle Clarisse indirizzando loro una lettera nella quale si evidenzia il percorso che noi cappuccini abbiamo realizzato: “Il rapporto tra Francesco e Chiara è fondamentalmente di comunione, nella consapevolezza di esprimere due volti dello stesso carisma. Questa relazione originale configura il rapporto tra i nostri Ordini. La promessa del fondatore di avere cura e fraterna sollecitudine, come per i suoi fratelli, è oggi motivazione della nostra vicinanza. Non è importante l'associazione giuridica, nemmeno la cura pastorale oppure il servizio sacerdotale dei cappellani e dei confessori. Ciò che più importa tra noi è il rapporto di fraternità. La nostra riforma Cappuccina aveva il forte desiderio di tornare alla intenzione primordiale di san Francesco e, nei primi momenti, non voleva prendersi cura dei monasteri delle monache, in quanto era ritenuto un lavoro stabile, fisso e delicato, contrario alla povertà e all’itineranza. Così, le prime Costituzioni della nostra Riforma lo vietarono in modo assoluto (cf. Costituzioni Cappuccine del 1536, cap. XI). La venerabile Lorenza Longo operò un vero “miracolo” ottenendo che nel 1538 il Papa riconoscesse al monastero di Napoli, già approvato nel 1535, di stare sotto la prima regola di Santa Chiara e aggregato ai Cappuccini (cf. Papa Paolo III, Motu proprio “Cum Monasterium”, 10 dicembre 1538). L'ispirazione e la passione di Madre Lorenza permise alla riforma cappuccina di riacquistare l'originale modo di esprimere i due volti dello stesso carisma.”( M. Jöhri, Due volti dello stessa carisma, lettera alle Clarisse Cappuccini, 25 marzo 2017.)

[54] J. Corriveau, Fraternità evangelica, 1997.

[55] J. Corriveau, Il coraggio di essere minori, 1994.

[56] Così racconta il Celano: “ In ogni suo sermone, prima di comunicare la parola di Dio al popolo radunato, augurava la pace dicendo: “Il Signore vi dia la pace!” Questa pace egli annunciava sempre sinceramente a uomini e donne, a tutti quanti incontrava o venivano a lui. In questo modo molti che odiavano insieme la pace e la propria salvezza, con l’aiuto del Signore abbracciavano la pace con tutto il cuore, diventando essi stessi figli di questa pace e desiderosi della salvezza eterna” (1Cel X,23; FF359). Cfr. anche fr. M. Jöhri, Annunciare la misericordia, 2015. Inoltre, l'omelia che ci ha offerto Papa Francesco – scrive fr. M. Jöhri nella lettera Siate uomini di perdono del 11 febbraio 2016, ricordando l’incontro con il Santo Padre il 9 febbraio 2016 - durante l'eucaristia ha evidenziato la grazia del perdono sacramentale: “la tradizione vostra, dei Cappuccini, è una tradizione di perdono. Tra di voi ci sono tanti bravi confessori”. Il Papa ci ha ricordato che colui che è capace di perdonare è consapevole di essere un peccatore e chiede sempre il perdono per se stesso. Il Papa ha proseguito dicendo: “Voi Cappuccini avete questo dono speciale dal Signore: perdonare. E vi chiedo: non stancatevi di perdonare.” In seguito è risuonato forte l’appello: “Siate uomini di perdono, di riconciliazione, di pace!”.

[57] 3Comp XIV,58; FF 1469: “La pace che annunziate con la bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori. Non provocate nessuno all’ira o allo scandalo, ma tutti siano attirati alla pace, alla bontà, alla concordia dalla vostra mitezza. Questa è la nostra vocazione: curare le ferite, fasciare le fratture, richiamare gli smarriti. Molti che ci sembrano membra del diavolo, possono un giorno diventare discepoli di Cristo”.

[58] John Corriveau, Compassione: Per un approccio francescano al tema di Giustizia, Pace ed Ecologia, 1997. Legato al tema della pace è l’episodio del lupo di Gubbio (Fioretti XXI). Commendatolo così scrive il ministro J. Corriveau: «Con grande semplicità i Fioretti annunciano la liberazione di Gubbio: "Tutta la sua confidenza ponendo in Dio" Francesco "facendosi il segno della santissima croce, uscì fuori della terra egli co' suoi compagni". La fiducia in Dio di Francesco è basata sulla Croce e sulla Fraternità: questi devono essere gli strumenti della liberazione. E' con la potenza della croce che frate Francesco va incontro al lupo, che assomma in sé tutte le paure di Gubbio. Molto tempo prima di andare armato della croce ad affrontare il lupo di Gubbio, Francesco già aveva innalzato la stessa croce al di sopra della testa dei suoi fratelli alla Porziuncola. La Sacra Scrittura descrive l'età messianica come un'era di eccezionale pace. Francesco si accinse a creare proprio tale "Nuova Gerusalemme" a Santa Maria degli Angeli. Esortò i suoi frati ad una intensa preghiera, ad una sincera comunione in fraternità e a portare i pesi gli uni degli altri. Possiamo rilevare come il rispetto reciproco, specialmente nel parlare, era molto presente nella loro vita. Ad un frate colpevole di detrazione fu imposto di chiedere perdono della sua mancanza e di recitare le lodi di Dio ad alta voce, in modo che tutti lo potessero udire! (Specchio di perfezione, 82). Questo sforzo per edificare la pace evangelica significò che Francesco stesso dovette abbracciare la Croce. Tale sforzo non potrebbe aiutare a spiegare il suo discorso sulla "Perfetta Letizia"? Il prezzo ne valeva la pena! Francesco fu così in grado di possedere la forza dell'unità fraterna e della pace evangelica, quando, "insieme con i suoi compagni", si fece incontro al lupo di Gubbio. La Croce e la Fraternità decidono del risultato: "Vieni qui, frate lupo! Io ti comando dalla parte di Cristo che tu non facci male né a me né a persona". Francesco può manifestare al lupo la verità con amore, dicendogli che il suo grande odio e la sua violenza "distrugge le creature di Dio" e "uccide uomini fatti alla immagine di Dio". Francesco non cerca di minimizzare i delitti del lupo contro la gente della città. Francesco può manifestare alla gente di Gubbio la verità con amore. Chiede loro di riflettere a come il clima sociale di Gubbio ha contribuito alla violenta reazione del lupo: "...per li peccati Iddio permette cotali cose e pestilenze". […] La Croce di Cristo e l'autentica fraternità non potrebbero dare ad un Cappuccino la compassione, il coraggio e la coerenza di pronunciare tali parole? Non potremo mai smuovere l'odio e la violenza che ci circonda, se non cominciamo dall'interno delle nostre fraternità locali e provinciali. Troppo spesso permettiamo al "lupo" di vivere in mezzo a noi: aggressioni passive, denunce violente, abuso di alcol e di droghe, razzismo, abusi sessuali e scherni sarcastici. I nostri stessi fratelli non possono essere guariti né possono imparare nuovi modi di affrontare la vita se le nostre fraternità non costituiscono per loro un porto onesto e sicuro dove poter aprire il loro cuore. Spesso riflettiamo e discutiamo sulle cause della violenza nel nostro mondo: povertà, alienazione, discriminazione, danneggiamenti psichici e fisici,.. le cause sono infinite. Tali studi ci aiutano a capire e a far nascere in noi la compassione. Tuttavia solo la croce di Cristo e l'autentica fraternità possono darci il coraggio e la forza di raggiungere e di toccare le radici profonde della sofferenza […]. Il primo santo della riforma cappuccina, fr. Felice da Cantalice, fu un frate che certamente fece proprio questo camminando per le vie di Roma, parlando di pace con la semplice e gioiosa accoglienza di ogni persona. Possa la sua vita costituire ispirazione per i nostri sforzi affinché la pace trionfi sulla terra.” ( J. Corriveau, Che la pace trionfi sulla terra!, 1995).

[59] Cfr. M. Jöhri, Nel cuore dell’Ordine la missione, 2009: “L’azione missionaria dell’Ordine non deve essere intesa in primo luogo alla stregua di una diffusione quantitativa, ma piuttosto come il rendere presente il carisma di san Francesco in culture che ancora non lo conoscono. La nostra vuol essere una presenza che intende incidere sulla realtà che la circonda per arricchirla. In ciò essa non mancherà di essere di sostegno alla comunità cristiana. Per essere presenti in questo modo occorre anzitutto fare chiarezza sulla propria vocazione di frati minori: ciò è anteriore sia alla preparazione intellettuale che al desiderio di “andare” in missione”.

[60] J. Corriveau, Vi mando per il mondo intero…,1996.

[61] Cfr. M. Jöhri, Identità e appartenenza dei Frati Minori Cappuccini, 2014.

[62] Giovanni Paolo II, Messaggio ai Cappuccini italiani in occasione del Capitolo delle Stuoie, 22 ottobre 2003.

[63] Papa Francesco, Messaggio del Santo Padre Francesco per la XLVIII giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 24 gennaio 2014.

[64] Papa Francesco, Laudato Si’. Sulla cura della casa comune, Città del Vaticano 2015, n. 228.

[65] J. Corriveau, Compassione: per un approccio francescano al tema di giustizia, pace ed ecologia, 1997: “Il sentimento di fraternità fece rivolgere Francesco verso il mondo. Una fraternità estesa a tutta la creazione. Fu avvinto da ciò che si potrebbe chiamare la “fraternità cosmica”. Celano descrive come Francesco guardava alle più umili realtà...la luce, l'acqua, il fuoco, il vento, la terra, le piante, gli animali, i fiori,… con stupore. Era capace di vedere le realtà nascoste della natura. Non si contentava di lodare Dio per le sue creature. Fraternizzava con loro, parlando alle creature di Dio “con grande letizia, intima ed esteriore, come ad esseri dotati di sentimento, intelligenza e parola verso Dio” (Legper 49: FF 1598). Tutte le creature formano un'unica famiglia di fronte a Dio. Questa fu la fresca e nuova intuizione di Francesco”.

[66] Papa Francesco, Messaggio al secondo forum della Comunità Laudato sì, 6 giugno 2019. Così si legge nello stesso messaggio: “In questa prospettiva pragmatica, desidero consegnarvi tre parole. La prima parola è dossologia. Dinanzi al bene della creazione e soprattutto dinanzi al bene dell’uomo che della creazione è vertice, ma pure custode, è necessario assumere l’atteggiamento della lode. Dinanzi a tanta bellezza, con rinnovato stupore, con occhi da fanciulli, dobbiamo essere capaci di apprezzare la bellezza di cui siamo circondati e di cui anche l’uomo è intessuto. La lode è frutto della contemplazione, la contemplazione e la lode portano al rispetto, il rispetto diviene quasi venerazione dinanzi ai beni della creazione e del suo Creatore. La seconda parola è eucaristia. L’atteggiamento eucaristico dinanzi al mondo e ai suoi abitanti sa cogliere lo statuto di dono che ogni vivente porta in sé. Ogni cosa ci viene consegnata gratuitamente non per essere depredata e fagocitata, ma per divenire a sua volta dono da condividere, dono da donare perché la gioia sia per tutti e sia, per questo, più grande. La terza parola è ascesi. Ogni forma di rispetto nasce da un atteggiamento ascetico, cioè dalla capacità di saper rinunciare a qualcosa per un bene più grande, per il bene degli altri. L’ascesi ci aiuta a convertire l’atteggiamento predatorio, sempre in agguato, per assumere la forma della condivisione, della relazione ecologica, rispettosa e garbata”.

[67] R. Genuin, Ringraziamo il Signore. Lettera all’Ordine all’inizio del nuovo sessennio, 2019.

Ultima modifica il Venerdì, 12 Giugno 2020 10:47
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