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Cantalamessa: cercare lo sguardo di Dio e non quello degli uomini

E' alla lotta all'ipocrisia, fortemente condannata da Gesù, che il predicatore della Casa pontificia dedica la sua prima riflessione del periodo quaresimale. Suggerendo, per vincerla, di rettificare ogni giorno le intenzioni del nostro agire per mettere al primo posto Dio e non la nostra immagine

Qual è la condizione essenziale per ‘vedere’ Dio? E’ a questo interrogativo che padre Raniero Cantalamessa intende rispondere con la sua prima predica dei venerdì di Quaresima, tenuta questa mattina, nella Cappella Redemptoris Mater, ai membri della Curia Romana. La risposta sta nella beatitudine indicata da Gesù: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”.

La purezza riferita alla sessualità

Tra i molti significati di ‘purezza’, il predicatore ne sceglie due: la rettitudine delle intenzioni e la purezza dei costumi. I loro due opposti sono da una parte l’ipocrisia e dall’altra l’abuso della sessualità. Riguardo al disordine nella sfera sessuale padre Cantalamessa commenta:

Il peccato impuro non fa vedere il volto di Dio, o, se lo fa vedere, lo fa vedere tutto deformato. Fa di lui, non l'amico, l'alleato e il protettore, ma l'antagonista, il nemico. Perchè? Perchè l’uomo carnale è pieno di concupiscenze, desidera la roba d’altri e la donna d’altri. In questa situazione Dio gli appare come colui che sbarra la strada con i suoi :"Tu devi!", "Tu non devi!" Il peccato suscita nel cuore dell'uomo, un sordo rancore contro Dio, al punto che, se dipendesse da lui, vorrebbe che Dio non esistesse affatto.

La purezza come rettitudine delle intenzioni

Ma è sulla purezza come rettitudine delle intenzioni che padre Cantalamessa vuol soffermarsi di più in questa occasione, anche perché il tempo quaresimale, appena iniziato, ripropone le forti ammonizioni di Gesù: 'Quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti… quando pregate non siate simili agli ipocriti.' E il predicatore fa subito una costatazione: “È sorprendente quanto il peccato d’ipocrisia - il più denunciato da Gesù nei Vangeli -, entri poco nei nostri ordinari esami di coscienza”. Eppure “l’ipocrisia è in gran parte vinta, nel momento che è riconosciuta”. Importante dunque riconoscerla, capire che ciascuno di noi è come avesse una doppia vita: una vera e una immaginaria, cioè ciò che noi o gli altri pensano di noi. E quanto ci occupa costruire questa seconda vita, osserva.

Oggi la prima predica di Quaresima alla Curia Romana

Nell'atteggiamento ipocrita c'è la menzogna e la doppiezza

Padre Cantalamessa spiega che il termine ipocrisia deriva dal linguaggio teatrale e porta con sé quel connotato di menzogna che fa parte del recitare dove alle parole e agli atteggiamenti esteriori non corrisponde l’intima realtà dei sentimenti. Ciò era chiaro agli antichi, ma anche oggi permane il significato negativo tanto che nessuno si vanta di essere ipocrita. E sull’ipocrisia padre Cantalamessa dice ancora:

Essa è fare della vita un teatro in cui si recita per un pubblico; è indossare una maschera, cessare di essere persona per diventare personaggio. E c'è una grande differenza tra persona e personaggio. Il personaggio è la corruzione della persona. La persona è un volto, il personaggio è una maschera. La persona è nudità radicale, il personaggio è tutto abbigliamento, tutto trucco. La persona è l’autenticità e l’essenzialità, il personaggio è finzione e artificio. La persona ubbidisce a delle convinzioni, il personaggio recita un copione.

L'ipocrita dà più importanza agli uomini che a Dio

Questa tendenza innata dell’uomo è accresciuta enormemente dalla cultura attuale dominata dall’immagine, osserva il predicatore, e insidia soprattutto le persone pie e religiose perché “dove più forte è la stima dei valori dello spirito, della pietà e della virtù, lì è più forte anche la tentazione di affettarle per non sembrarne privi”.  Ma l’ipocrisia non è solo menzogna o doppiezza, insiste padre Cantalamessa, con essa “l’uomo declassa Dio, lo mette al secondo posto, collocando al primo posto le creature, il pubblico". Inoltre manca di carità perché riduce gli altri ad ammiratori, in funzione di sé.

Adriana Masotti - Città del Vaticano

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