Ordo Fratrum Minorum Capuccinorum PL

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Fr. Luigi Di Palma OFMCap

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Capitolo XI delle Costituzioni

La nostra vita nella castità consacrata

di Fr. Luigi Di Palma OFMCap

 

La castità consacrata è annuncio e testimonianza che solo la ricchezza dell’amore di Dio è capace di colmare la povertà del cuore dell’uomo, corrispondendo al suo profondo anelito di pienezza e di gioia. Cristo Gesù ha realizzato questa possibilità assumendo con la sua Incarnazione la natura umana e rendendola partecipe del dono supremo dello Spirito Santo attraverso la sua morte e resurrezione.

Il consacrato è chiamato, attraverso il consiglio evangelico della castità, ad affermare con l’intensità e la totalità della sua vita che non c’è amore più grande di questo: l’amore che sgorga dal cuore stesso della Trinità per unire indissolubilmente l’uomo a Dio e riconsegnarlo alla vita, allorché l’amore ricevuto dal Padre si traduce in amore senza misura per i fratelli.

San Francesco, povero e umile di cuore come Cristo, considerò la castità come condizione di trasparenza interiore per arrivare a “vedere Dio” e, rifuggendo ogni spirito di egoistica appropriazione degli affetti e della volontà, estendere a tutte le creature il vincolo universale della fraternità e della pace.

Il seguente approfondimento sul Capitolo XI delle Costituzioni dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, La nostra vita nella castità consacrata (cf Cost. 169-174), rappresenta l’occasione per considerare quanto una equilibrata, libera e feconda vita di castità renda possibile al frate minore manifestare la forza trasfigurante dell’amore di Dio; e d’altra parte quanto solo la grazia dello Spirito Santo possa generare attraverso di lui, mediante la castità, relazioni di profonda comunione fraterna e gesti di intensa e generosa carità.

1. Il dono della castità consacrata

La scelta della castità consacrata rappresenta uno speciale dono (carisma) di Dio, corrisposto ad alcuni per grazia dallo Spirito Santo (cf Cost. 169,1). Esso è conservato fin dall’inizio nel profondo della vita battesimale ed emerge con particolare evidenza nel momento in cui si delinea la chiamata alla consacrazione[1].

Si può infatti dire che il desiderio di vivere la castità rappresenta in qualche modo un segno chiaro della vocazione alla sequela di Cristo: quello che più propriamente manifesta la natura stessa della vita religiosa, contrassegnata appunto dall’esperienza dell’amore di Dio[2]. Quindi in nessun caso tale desiderio può dipendere unicamente da volontà umana, se non quando esso si trasforma a sua volta in una libera risposta alla chiamata ricevuta.

A colui che è chiamato alla consacrazione, l’amore di Dio viene partecipato come qualcosa che supera “altri amori” e di cui non si può fare a meno per vivere. Tale amore diviene l’unico capace di dare senso compiuto e forza promotrice all’esistenza. Esso coincide con il Regno di Dio (cf Mc 1,15): ragion per cui chi sceglie la castità annuncia la vicinanza di Dio agli uomini che si fa misericordia verso di essi, specialmente gli ultimi[3].

Per quanto attiene alla sua origine, il dono della castità scaturisce fondamentalmente dall’amore trinitario che unisce il Padre al Figlio nello Spirito Santo (cf Cost. 169,2) e che pertanto viene esso stesso condiviso con l’uomo affinché questi venga introdotto - attraverso la mediazione del Figlio - nel circolo dell’intimità divina, contrassegnata da condiscendenza da parte del Padre e da corrispondenza da parte della creatura.

In ragione dell’intima esperienza di conoscenza, comunione e partecipazione all’amore trinitario la castità diventa trasparenza di questo amore che da dono ricevuto (carisma) si fa dono restituito al suo donatore (virtù) attraverso la sensibile e generosa dedizione al bene umano e spirituale dei fratelli (cf Cost. 169,2). Infatti senza che si stabilisca un diretto e stretto collegamento con la carità non è possibile comprendere il significato né sviluppare la funzione di questo consiglio evangelico mediante il quale l’affettività e la sessualità, ben integrate ed orientate, contribuiscono ad accogliere e a tradurre concretamente il dono della carità in rapporti di comunione e di solidarietà, vincendo contro ogni forma di prevaricazione ed privilegio di sé[4].

Così colui che è chiamato alla castità consacrata vive costantemente sotto l’influsso della divina bellezza (cf Cost. 169,3) che consiste appunto nella partecipazione all’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo quale fonte di stupore, gioia, appagamento del cuore e desiderio di annunciare la benevolenza di Dio verso gli uomini[5].

Ma l’essere attratti dalla divina bellezza, in virtù dello Spirito Santo, vuol dire in concreto essere affascinati dalla persona e dalla vita stessa di Cristo a cui il consacrato intende configurarsi ponendo - come il Figlio - la volontà del Padre al di sopra di qualsiasi altra volontà, cooperando così all’avvento del Regno futuro (cf Cost. 169,4). È proprio questo intendimento a disporre il cuore ad accogliere l’amore di Dio nella chiamata alla castità, quale dono “esclusivo” di Cristo Sposo (cf Gv 15,16), per poi svilupparlo nella Chiesa come impegno “universale” a favore della salvezza di ciascun uomo e donna (cf Mt 19,21)[6].

La persona e la vita del Figlio unigenito di Dio rappresentano dunque il modello a cui la persona consacrata fa riferimento e la fonte di grazia a cui essa attinge nel vivere la castità secondo gli intendimenti del Vangelo. Gesù Cristo fece della sua scelta di vivere casto un nuovo modo di stabilire la comunione filiale con il Padre, la relazione fraterna con gli uomini e il servizio interamente votato al bene del mondo[7].

L’assunzione della natura umana da parte del Verbo, in vista del sacrificio supremo della sua vita, è già simbolicamente contenuta nella decisione che Gesù di Nazaret fece nel voler vivere la castità come disponibilità piena all’amore di Dio per gli uomini: un amore che, attraverso l’offerta totale di sé, manifesta la vittoria dello Spirito sulla relatività e inconsistenza delle realtà umane soggette al dominio del male, del peccato e della morte[8].

È in questo senso che la scelta della castità costituisce un vincolo essenziale per poter, con cuore indiviso, amare Dio e in lui i fratelli (cf Cost. 169,5). Essa non è una semplice rinuncia della vita affettiva e sessuale o del matrimonio ma è manifestazione dell’amore di Cristo, fatto di solitudine e oblazione. Questo amore tende ad essere grande perché massimamente libero, gratuito e generoso e ha in sé la forza di promuovere comunione e carità, in vista del sicuro e pieno conseguimento dei beni della giustizia, della fratellanza e della pace che saranno parte integrante del mondo futuro. Per questo motivo la vita di castità, considerata nella sua capacità di trasfigurare in virtù dell’amore di Dio innanzitutto le relazioni fraterne dei consacrati, custodisce in sé una forte carica di testimonianza profetica e d’impegno missionario (cf Cost. 169,6).

Gesù Cristo, infatti, ha vissuto la castità per amare profondamente Dio come Padre e gli uomini come fratelli (specialmente poveri, sofferenti, emarginati, oppressi, peccatori), assumendo la comunità come sua vera famiglia e insegnando ai discepoli a fare come lui (cf Mt 23,9), superando la logica del potere per affermare quella del servizio[9].

Colui che sceglie dunque di vivere la castità consacrata è stato conquistato dall’amore di Cristo e ha creato con lui un profondo legame di identificazione e di attaccamento, facendo emergere forte il desiderio di appartenergli in modo esclusivo e totale per partecipare con lui alla missione del Regno, particolarmente attraverso la testimonianza di un amore offerto a tutti. Vincolarsi a Cristo per poi seguirlo con cuore indiviso diventa alla fine l’esigenza fondamentale e irrinunciabile che permea tutta intera e in profondità l’esistenza del consacrato. E’ in ragione di questo legame che il dono della castità, una volta ricevuto, deve necessariamente trasformarsi in stabile e fecondo impegno di vita (cf Cost. 170,1)[10].

Come le forme dell’amore umano - corporeo, sociale e spirituale - si collegano tra loro e nella vita delle persone secondo una reciproca “appartenenza” (per cui l’una si avvale delle altre e le sostiene), questa appartenenza si estende in termini di amore anche al rapporto tra l’uomo e Dio: nel linguaggio biblico essa è ben rappresentata dal termine “sponsalità”[11].

Colui che nel matrimonio si unisce ad un’altra persona rivela la centralità dell’altro per trascendersi nell’amore. In questa relazione l’affettività e la sessualità agiscono congiuntamente nell’esprimere la capacità di amare e di promuovere la vita in senso naturale e umano. Colui che invece scegliendo la castità consacrata si unisce a Dio in Cristo, rivela la centralità della relazione con lui per trascendersi nell’amore ma supera ogni particolare riferimento umano e anticipa nel tempo la condizione di chi sarà pienamente se stesso alla trasfigurazione finale. In questa relazione l’affettività e la sessualità non agiscono congiuntamente nell’espressione della capacità di amare e di promuovere vita in senso umano e più propriamente spirituale[12], ma si assoggettano al valore, alle condizioni e ai termini della chiamata alla consacrazione.

Nella persona e nella vita di Cristo la “sponsalità”, proprio attraverso la castità, è in virtù dello Spirito Santo perfetta “appartenenza” a Dio e agli uomini. Tale appartenenza è da lui vissuta come un vincolo esclusivo, indissolubile, appassionato, generoso e fedele con la volontà e l’amore di Dio da cui ha origine e a cui ritorna ogni suo sentimento, desiderio, relazione, partecipazione e offerta[13]. La persona consacrata vive sotto i riflessi di quest’appartenenza sponsale che, in virtù di Cristo, rappresenta una grazia e allo stesso tempo un impegno incessante a corrispondere ad essa.

Senza queste fondamentali motivazioni di fede la castità è privata del suo significato più profondo e della sua forza ideale per concorrere a edificare il Regno; e il consacrato non può sostenerne le esigenze.

2. La dimensione affettiva e sessuale nella castità consacrata

Nella vita della persona consacrata l’affettività e la sessualità continuano a sussistere: la prima in quanto capacità di amare ed essere amati e la seconda come espressione della propria identità maschile o femminile tendente alla complementarietà, da non considerarsi unicamente in rapporto alla genitalità.

In tutto questo il consacrato deve far convergere, nel modo dovuto, l’affettività e la sessualità sia verso la più ampia apertura alle persone; sia contemporaneamente verso l’accettazione serena di quella solitudine che la castità in una certa misura comporta. I problemi di una castità mal vissuta cominciano innanzitutto dalla difficoltà a convergere in questo senso[14].

Inoltre l’affettività e la sessualità, restando strettamente collegate tra loro, in qualche modo devono essere reciprocamente accordate e orientate. Pertanto assicurare, per esempio, che il consacrato possa esprimere la propria affettività verso i confratelli secondo quella familiarità, condivisione e partecipazione di cui egli è capace; beneficiare di un contesto di relazioni comunitarie caratterizzate da accoglienza, stima, comprensione, benevolenza; usufruire di una ricca esperienza spirituale, impegnarsi in attività consone alla sua sensibilità e capacità, etc. favorisce certamente un adeguato equilibrio tanto nel rapporto con la propria dimensione affettiva quanto nelle relazioni con gli altri e nelle esigenze della scelta intrapresa, a seconda degli obiettivi e dei compiti che da essa derivano.

Tutto questo ha poi un’influenza positiva anche nella gestione della sessualità che, nel caso contrario, può tornare ad emergere in modo insistente per colmare l’isolamento e compensare l’insoddisfazione personale attraverso le gratificazioni che le sono proprie.

Ora, fatta questa premessa, approfondiamo meglio cosa siano l’affettività e la sessualità.

L’affettività è la capacità di “provare affetto”, cioè di percepire un sentimento di attaccamento verso qualcuno (o qualcosa), al punto tale da arrivare a stabilire e mantenere con questi un legame di benevolenza, di amicizia, di amore possibilmente reciproco. Questo legame può diventare talmente significativo e intenso da costituire ragione per arricchire e realizzare la propria vita[15].

Quando l’affettività è matura - in qualsiasi genere di ambito sociale (famigliare, amicale, di coppia) -, essa consente alla persona di creare una relazione caratterizzata da sincerità, fiducia, rispetto, sensibilità, libertà, gratuità, generosità e fedeltà al valore della presenza dell’altro evitando di assoggettarlo in maniera possessiva e strumentalizzante ai propri bisogni e intenti. Si può pertanto dire che un’affettività matura è tale da consentire una relazione di vera comunione e partecipazione tra le persone, ma sempre nel rispetto delle loro reciproche libertà. Diversamente, l’affettività acquista un carattere problematico: sia quando tende ad essere troppo coinvolgente, negando la libertà dell’altro; sia quando tende ad essere troppo distante, impedendo che si formi un vero legame.

Per sua natura l’affettività è dunque caratterizzata da un movimento circolare di “dare” e “avere” per cui, quando l’affetto viene adeguatamente riversato sull’altro, questo genera un ritorno a beneficio e arricchimento della propria identità[16].

Il consacrato ha bisogno di poter opportunamente sostenersi e alimentarsi dal punto di vista affettivo, anche attingendo alla varietà delle relazioni che fanno parte della sua vita.

Un tipo di relazione, per esempio, è rappresentata da quella con la famiglia di origine la quale resta il fondamento dello sviluppo del senso d’identità e dell’intera personalità; l’ambito da cui ciascuno ha ricevuto le prime conoscenze su ciò che è la verità e il bene; il luogo dove ha vissuto le prime importanti esperienze dell’amore ricevuto e dell’amore offerto nonché della fede pregata e testimoniata. Anche a distanza di tempo, per il consacrato la famiglia di origine rimane un’importante risorsa per recuperare le sue radici, il senso della sua storia di vita - specialmente in rapporto alla chiamata di Dio -, l’affetto e la stima dei propri cari nel perseverare nella scelta e nell’impegno della propria missione. Ma non sempre le cose sono andate in questa direzione.

Non è comunque secondario aggiungere che la famiglia naturale rappresenta, in un certo qual modo, un esempio a cui la Chiesa e la vita comunitaria dei consacrati può e deve far riferimento[17]: per esempio un superiore verso i confratelli potrebbe manifestare vera paternità quando è capace di orientamento, sostegno e cura; oppure i confratelli potrebbero certo condividere reciprocamente tra loro relazioni improntate all’accoglienza, al dialogo, alla benevolenza sentendosi partecipi gli uni per gli altri. Per questo la fraternità può e deve essere giustamente ritenuta, in virtù dell’amore preferenziale di Cristo per i suoi, una “nuova famiglia” (cf Cost. 173,6).

Un secondo tipo di relazione, affettivamente importante per il consacrato, è indubbiamente quella favorita dalla possibilità di creare e mantenere rapporti di amicizia innanzitutto all’interno della propria fraternità. In tal caso è necessario ricordare che la vita di castità, mentre riceve sostegno dalla vita comunitaria, è chiamata essa stessa a sostenerla attraverso la creazione di vincoli il più possibile fraterni.

Anche con persone esterne all’ambito della fraternità è lecito realizzare e conservare legami di amicizia suscitati dalla familiarità umana, dalla condivisione dello stesso ideale e dalla collaborazione nella realizzazione delle opere. Tale amicizia sia caratterizzata da apertura, dialogo, sostegno ma anche da chiarezza, prudenza, rifiuto di esclusivismi e morbosità[18]. Approfondiremo in seguito questi aspetti.

In rapporto alla sessualità la vita di castità richiede di fronteggiare, con l’intervento della ragione e della volontà, il continuo ritorno delle spinte sessuali che chiedono in modo pressante di essere soddisfatte. Queste ultime tuttavia per loro natura non tendono facilmente ad assecondare le riflessioni della ragione e i divieti della volontà - che anzi potrebbero addirittura rafforzarle -: esse invece si lasciano più docilmente contenere ed orientare da una prospettiva di valore, ponendosi in qualche modo al servizio della comunione e della carità; e assicurando di conseguenza al consacrato la possibilità di essere una persona serena e ricca di amore.

Nell’esercizio della castità la sessualità non va ridotta alla genialità, che è semplicemente una sua componente. La sessualità affonda le sue radici nella biologia e fisiologia umana ma rappresenta una dimensione più ampia che specifica la persona nel suo essere “maschile” o “femminile” (nel modo di percepire la realtà, di pensare, di sentire affettivamente, di volere, di intrattenere relazioni, di operare, di vincolarsi a valori, di vivere la religiosità) e la spinge verso la complementarietà con l’altro.

In quanto genitalità e procreatività la dimensione sessuale non è qualcosa da disprezzare, mortificare, temere bensì debitamente da accogliere e rispettare. Un eccessivo e non equilibrato impegno nel cercare di arginare (con la continenza) la pulsione sessuale, nei suoi incalzanti tentativi di essere soddisfatta, può comportare - nella vita religiosa come in quella comune - delle problematicità[19].

Una di esse è rappresentata dalla repressione forzata che consiste nel controllo, consapevole ma fortemente imposto, della pulsione sessuale che tenderebbe ad attenuarsi, uscendo dal campo della coscienza per un certo tempo (rimozione) ma facendo tuttavia ritorno attraverso la manifestazione di tensioni interne non immediatamente spiegabili: in realtà queste sono il risultato di un blocco forzatamente opposto alla pulsione a livello inconsapevole che si traduce in stati sintomatici caratterizzati da preoccupazione, angoscia, ossessività, indecisione, senso di colpa, irritabilità, abbattimento, etc.[20].

Un’altra forma di rapporto problematico con la pulsione sessuale è rappresentata dalla falsa sublimazione, che consiste nell’assunzione di forme molto idealizzate - e pertanto disincarnate - di spiritualità tendenti alla rigidità, al perfezionismo e al formalismo[21].

La vita di castità considera la sessualità non solo sotto l’aspetto della sua integrazione con le altre dimensioni della persona; ma anche e soprattutto con il significato e il valore della scelta compiuta. Per cui, se il consacrato rinuncia volontariamente alla genitalità e alla procreatività, d’altra parte attribuisce alla sessualità un carattere di fecondità nel sostenere l’offerta libera e gratuita di un amore che deve generare nella carità per il solo bene del prossimo. L’integrazione della sessualità del consacrato nella sua scelta di vita può avvenire solo sulla base di una riuscita maturazione psicologica sessuale che comporta: un’adeguata accettazione della sua condizione sessuata (identità di genere maschile o femminile) e di ciò che tale condizione richiede in termini di ruolo sociale (identità di ruolo); orientamento eterosessuale caratterizzato da adeguata consapevolezza e capacità di gestire l’impulso sessuale all’interno della relazione con l’altro sesso; capacità di relazionarsi con la propria sessualità senza rigidità e senso di frustrazione, sostenendo la rinuncia alla vita sessuale più come una possibilità che come una perdita in vista di poter progredire nell’amore di donazione.

In sintesi la sessualità, integrata nella castità, contribuisce a dotare la persona di una energia bio-fisiologica e psicologica che l’aiuta a trascendersi, ad essere produttiva e creativa in vista del servizio agli altri[22].

In tutto questo va però precisato che la scelta della castità consacrata - nel suo carattere di segno profetico del Regno - non va intesa come un deprezzamento del significato e del valore del matrimonio e della vita familiare, che pure rappresentano vie privilegiate attraverso cui l’amore di Dio viene accolto nella sua espressione più strettamente naturale e umana. Semmai la scelta della castità va considerata complementare a quella matrimoniale e familiare, stabilendo con queste ultime un armonico e fruttuoso rapporto di collaborazione (cf Cost. 173,7).

3. La castità consacrata, significati e aspetti

Se provassimo a definire cosa significhi il termine “castità” ci troveremmo di fronte a diverse accezioni.

In senso comune con “castità” s’intende innanzitutto il dominio di sé (“padronanza”) sulla sfera affettiva e sessuale, arrivando a contenere la soddisfazione degli impulsi che ne derivano. Ora questa capacità di controllo sulle spinte affettivo-sessuali costituisce innanzitutto una necessaria caratteristica della maturità umana di ogni persona, che attraverso di essa deve cercare di tendere a superare se stessa e progredire verso ulteriori margini di libertà rispetto alla forza degli impulsi e dei bisogni primari[23]. Pertanto si può dire che in qualche modo la castità sia un carattere rintracciabile nel naturale sviluppo affettivo e sessuale di ciascun uomo e di ciascuna donna. Così questi ultimi tendono alla maturità allorché s’impegnano: ad affrancarsi in misura sempre maggiore dal condizionamento degli impulsi e dei bisogni primari che chiudono nell’autoreferenzialità (egocentrismo); a coltivare le relazioni e il dialogo nel segno dell’apertura all’intersoggettività; ad assumersi la responsabilità delle scelte di vita; a tollerare il peso delle difficoltà e delle rinunce; a sostenere con attenzione e impegno la condizione dell’altro (allocentrismo).

Anche in senso strettamente spirituale ed ascetico, la castità è da ritenersi innanzitutto come “dominio di sé” (continenza) sulla sfera affettivo-sessuale a seconda della specifica condizione o scelta di vita (coniugale, vedovile, celibataria, consacrata), affinché la persona pervenga al raggiungimento della virtù relativa al suo stato, vale a dire di quella disposizione stabile e adeguata a compiere il bene nella forma e nel grado necessari. A questo proposito, nello sviluppo della vita di castità acquista particolare rilievo esercitare la temperanza, quale funzione regolatrice che consente di limitare i richiami del piacere e garantire il controllo della volontà sulle spinte istintuali (cf Cost. 172,2): cosa che richiede vigilanza e rigore di vita perché, per loro intrinseca natura, tali spinte posseggono notevole forza attraente, in ragione del fatto che esse sono al servizio della trasmissione della vita (cf Cost. 172,4).

Tuttavia la castità non è semplicemente da considerarsi un carattere della maturità umana né solo un atteggiamento spirituale-ascetico. In realtà essa può ritenersi un “modo di essere aperti”, poiché tende ad unificare la persona in se stessa (corporeità, istintualità, piacere, emotività, razionalità, relazione, affettività, procreatività, moralità, religiosità, etc.), a renderla capace di rapporti profondi e significativi e a promuoverla come agente di trasformazione del mondo[24].

Questa considerazione ci conduce adesso più vicino al significato che il termine “castità” assume per quanto riguarda la vita consacrata.

Intanto vediamo che nel linguaggio attinente alla vita consacrata troviamo, accanto a quello di “castità”, anche i termini di “celibato” e di “verginità”. Ciò rende necessario distinguere e chiarire il senso di questi ultimi termini, che vengono usati indistintamente come sinonimi.

I termini “celibato” e “verginità” - rispettivamente il primo per l’uomo e il secondo per la donna - designano in genere la condizione di chi non è sposato e non esercita nel concreto la propria vita sessuale per ragioni che, pur non essendo sempre di carattere esclusivamente religioso (come la realizzazione di certi valori umani), tuttavia non esprimono disistima e difficoltà nei confronti della sessualità e del matrimonio.

Inoltre mentre il termine “celibato” indica più che altro una condizione sociale; quello di “verginità”, che ha una connotazione specificamente femminile, rimanda all’integrità fisica della persona.

In ogni caso, che sia sposata oppure non sposata - in modo tale da esercitare o meno la propria vita sessuale -, è importante che la persona cresca liberamente nella capacità di rapportarsi alla propria e altrui maschilità e femminilità; di ricevere amore e al tempo stesso di disporre delle sue energie affettive per amare il prossimo; di superare la tendenza al possesso e all’uso strumentalizzante dell’altro[25].

Ora rispetto al “celibato” e alla “verginità” la castità si pone invece ad un altro livello. Infatti chi sceglie di vivere in castità - come la persona consacrata -, rinunciando liberamente al matrimonio e all’esercizio concreto della propria sessualità, lo fa per motivi esclusivamente legati alla specifica chiamata ricevuta: vale a dire la chiamata a scegliere e seguire esclusivamente Cristo; a testimoniare il primato di Dio e la speranza nei beni futuri da lui promessi; a guidare e servire i fratelli affinché conseguano la salvezza[26].

Ragione e termine della castità consacrata è perciò l’amore ricevuto da Dio e donato ai fratelli (carità) per il vero bene della loro vita. Questo amore umano e soprattutto spirituale si sviluppa, si purifica e si perfeziona attraverso un incessante processo di conversione dall’egoismo al dono di sé, che si estende a tutte le fasi della vita e tende a coinvolgere tutte le dimensioni della persona (fisiologica, psicologica, sociale, morale, religiosa) (cf Cost. 172,1).

Questo attribuisce alla castità, più che solo un carattere ascetico, soprattutto un carattere affettivo-oblativo facendo attenzione a che l’insensibilità, l’indifferenza, l’intransigenza, il timore, la povertà e mediocrità dei sentimenti non pongano ostacoli alla libertà e generosità della carità[27].

Inoltre anche riguardo alla sfera sessuale la vita di castità non approva atteggiamenti di disprezzo, avversione, mortificazione forzata o annullamento della corporeità sessuata: la castità è più che altro una critica della tendenza indiscriminata ad esaltare il corpo come fonte di sensualità e seduzione. Essa insegna che quanto emerge dal corpo come richiamo sessuale non rappresenta un irrinunciabile diritto naturale, ma è invece soggetto ad essere inserito in una più ampia e profonda relazione tra le persone che è fatta di accoglienza, rispetto, dialogo, accordo, rinuncia, compassione, solidarietà[28].

Da questo discorso emerge subito chiaro che la castità può essere compresa, accolta e praticata solo come una dimensione “di valore” (sociale, etico, religioso) o meglio “spirituale”, che la disponga al raggiungimento di finalità che vanno oltre la dimensione strettamente naturale e storica dell’uomo, arrivando a perfezionarlo secondo quell’unica e fondamentale dimensione che sola gli consente di poter divenire pienamente umano: l’amore.

Al contrario qualora divenisse espressione di disprezzo della natura, di chiusura verso gli altri, di autosufficienza, di presunzione, etc. la castità assumerebbe piuttosto i tratti di una coartazione e contraffazione della vita affettivo-sessuale asservita ad un vuoto compiacimento di sé, suscettibile di riportare prima o poi la persona a comportamenti egoistici ambivalenti ed estremi[29].

Tuttavia scegliere la castità consacrata non significa negare bisogni e desideri. I bisogni sono esigenze necessarie alla sopravvivenza e una volta soddisfatti si ripresentano (mangiare, bere, coprirsi, riposare, curarsi, etc.) per assicurare l’equilibrio della vita naturale. Associati a questi ci sono poi altri motivi più rispondenti alla crescita della persona in senso psicologico, sociale, morale e religioso che vanno sotto il nome di “desideri” (conoscenza, appartenenza, relazionalità, vicinanza-intimità, paternità-maternità, amicizia, amore, libertà, creatività, comunione, servizio, fede, etc.): essi acquistano forza quanto più vengono realizzati. A tal riguardo si può dire che la castità consente ai desideri umani di convergere ed elevarsi verso i desideri di Dio, perché è inconcepibile una vera vita senza veri desideri[30]: soprattutto quello di essere felici.

Il consacrato, anche attraverso l’esercizio della castità, sa di poter essere una persona autenticamente felice. Egli ricava la sua felicità da ciò che è migliore e destinato a durare, rispetto a ciò che è mediocre e destinato a passare. Sa che questa felicità è dono della Parola e dello Spirito: senza trascurare di mettere in conto incertezze, difficoltà, fatiche, rinunce e delusioni è certo che non può esserci altra bellezza e la ricchezza se non quella di vivere in Cristo. Per questo mediante l’esercizio di una castità equilibrata e fruttuosa egli si apre con gioia e passione all’ascolto, alla conversione, al discernimento, alla lode, alla comunione fraterna e alla carità[31].

Esprimersi adeguatamente in senso affettivo e ricondurre le spinte della sessualità entro i limiti di un equilibrio che consenta il dono di sé, rende la castità una sorgente di vitalità umana e spirituale, capace di far rinascere se stessi e gli altri[32].

In sintesi, la castità del consacrato rappresenta la capacità di accogliere e di manifestare - nei vissuti, nelle relazioni e nelle azioni -, senza la stretta necessità di qualche altra mediazione umana, un amore che non può che derivare da Dio: un amore capace di creare vincoli di profonda comunione e di concretizzarsi in gesti di generosa donazione, in vista del vero bene umano e spirituale del prossimo[33].

Priva di tale collegamento all’amore di Dio, la vita di castità è facilmente soggetta ad essere falsata rischiando di ridursi unicamente a una rinuncia della manifestazione affettivo-sessuale della persona consacrata. Al contrario la castità, più che limitare o estromettere impropriamente l’affettività e la sessualità dal campo dei vissuti, dei rapporti e delle scelte di vita del consacrato consente invece a quest’ultimo di viverle e investirle in maniera decisamente ricca e impegnata.

4. L’impegno a vivere la castità consacrata: segni indicativi, esigenze e problematiche

La vita di castità comprende diversi livelli di espressione dell’amore, integrandoli armonicamente ed orientandoli a seconda dell’orizzonte di valore e di fede della persona: il livello fisiologico (eros, amore di desiderio), il livello sociale (philia, amore di condivisione) e quello spirituale (agape, amore di comunione-donazione).

Per il consacrato la castità è fondamentalmente comprensibile solo in ragione della chiamata a seguire Cristo con cuore indiviso e a cooperare con disponibilità all’avvento del Regno in vista della salvezza degli uomini[34].

Pur considerando l’importanza di questi motivi così essenziali, va aggiunto che la vita di castità rappresenta un impegno che richiede particolare cura e fedeltà. Infatti la castità consacrata ha bisogno d’inserirsi in un processo sia di maturazione umana che di conversione-purificazione spirituale, tendente ad accogliere e manifestare la carità in una misura sempre più alta[35].

In vista della realizzazione di questo obiettivo, il consacrato deve giungere ad avere una certezza morale sul fatto che egli sarà effettivamente in grado di vivere la castità impegnandosi fin dall’inizio a custodirla e ad accrescerla. I segni indicativi della disposizione a vivere la castità sono rappresentati dalla capacità di: possedere un sufficiente dominio di sé; osservare la continenza sessuale; saper stabilire e mantenere maturi rapporti di familiarità, condivisione, amicizia e affetto con le persone; avere un sereno approccio con l’altro sesso; venire incontro con sensibilità e disponibilità ai bisogni e alle difficoltà degli altri.

Al contrario risultano segni particolarmente controindicativi per la scelta della castità: continue e gravi mancanze in ambito sessuale; eccessiva rigidità, ossessività e compulsività riguardo alla sessualità; problemi nell’orientamento e nell’identità sessuale; deviazioni del comportamento sessuale[36].

Accertata la presenza di segni indicativi e scongiurata quella di eventuali segni controindicativi, chi si accinge a scegliere la castità deve aver ben chiaro quali esigenze e difficoltà essa comporta, accettando la logica rigorosa della sequela di Cristo crocifisso in vista di quella che sarà la futura partecipazione alla sua gloria (cf Cost. 171,1).

Innanzitutto la castità consacrata esige la consapevole e libera rinuncia a: coltivare pensieri, fantasie, linguaggi, conversazioni, interessi, abitudini, occasioni, relazioni a sfondo sessuale; praticare l’esercizio volontario della genitalità mediante atti di tipo autoerotico e rapporti sessuali (eterosessuali ed omosessuali) con altre persone; stabilire e mantenere relazioni esclusive a sfondo affettivo-sentimentale con altre persone, accompagnate o meno da contatti fisici, pur senza pieno coinvolgimento sessuale; porre in essere il matrimonio e soddisfare il desiderio di paternità e maternità (biologica o adottiva)[37].

In secondo luogo la castità consacrata prevede che nel corso del tempo si potranno profilare momenti di prova e di crisi dovuti alle ragioni più diverse (incomunicabilità, solitudine, preoccupazione, scoraggiamento, tristezza, disaccordo, conflittualità, insuccesso, senso di colpa, etc.), che potrebbero mettere in discussione non solo la certezza di sostenere l’impegno definitivo della castità ma anche la stessa chiamata alla consacrazione. Questi momenti vanno superati attraverso la fiducia, la forza d’animo, l’impegno spirituale, l’ulteriore discernimento, il sostegno e l’accompagnamento di persone capaci di ascolto e comprensione, la riscoperta del valore delle relazioni fraterne, la fedeltà ai doveri quotidiani[38].

Ad aggravare il carico sulla scelta della castità, con chiare ripercussioni etiche, interviene anche il fatto che in genere l’opinione comune non si dimostra favorevole alla castità consacrata, cercando di minimizzarla o svalutarla. Questo è il risultato dell’influenza deleteria di una mentalità culturale fondata sull’edonismo, sulla liberalizzazione dei costumi, sull’esaltazione dell’io e sulla negazione di una significativa visione morale-religiosa che comprenda anche la dimensione affettiva e sessuale dell’uomo.

Oltre a presumere che la castità costituisca un rifiuto di autentici e legittimi valori umani[39], tale prospettiva dichiara che la castità sia una scelta di vita improponibile alla persona perché superiore alle sue possibilità[40]. Anzi essa avanza anche l’idea che la scelta della castità possa addirittura provocare danni fisici e psicologici a chi tenti di praticarla. In realtà questo pregiudizio è da sfatare.

Vivere in castità è possibile e questo fatto dimostra innanzitutto che dall’affettività e dalla sessualità non derivano bisogni irrinunciabili. Pertanto - come già anticipato - può scegliere la castità solo chi crede fermamente di essere stato “chiamato a farlo” e dunque liberamente “decide di farlo”: non solo in base ad una sufficiente maturità affettivo-sessuale, ma per ragioni di alto valore spirituale supportate, ovviamente, dall’intervento della grazia. Indipendentemente dalla chiamata ad aderire al significato profondo di questo genere di scelta e dalle condizioni che le sono necessarie, nulla si può ottenere. Anzi, al contrario, potrebbero verificarsi diversi problemi.

Infatti il voler insistere nell’intraprendere la scelta della castità, senza quanto sopra menzionato, in primo luogo può incidere sull’equilibrio della persona inducendo per esempio stati ansiosi, comportamenti di carattere ossessivo-compulsivo, tensioni aggressive, scarso controllo degl’impulsi, compensazioni, etc..

In secondo luogo può favorire l’insorgere di forme mascherate di compromesso psicologico tendenti per esempio a: negare un difficile rapporto con la propria sfera affettiva e sessuale, con il proprio orientamento o la propria identità sessuale; assumere uno stile di vita individualistico e utilitaristico; privilegiare la possibilità di una vita in ambito religioso che sia più agevole e sicura rispetto al matrimonio; delegare le proprie responsabilità all’Istituto cui si appartiene; assumere il ruolo di consacrato o di sacerdote in quanto capace di maggiore ascendenza sociale; etc.. In terzo luogo può comportare insofferenza nell’accettare la solitudine affettiva che normalmente caratterizza la castità e che comunque si accentua quando la vita spirituale, le relazioni interpersonali e le attività subiscono seri contraccolpi[41]. In questo caso bisogna fare attenzione alla possibilità che emergano compensazioni e deviazioni di tipo affettivo-sessuale (cf Cost. 171,3).

Parlando di possibili compensazioni e deviazioni, un tema che urge considerare per quanto attiene alle difficoltà che si possono ravvisare nella vita di castità è certamente quello del delicato rapporto del consacrato con gli attuali mass-media, in particolare internet e la tecnologia digitale, che possono esporre facilmente al rischio di assumere abitudini sconvenienti e dannose (cf Cost. 171,3).

Attualmente internet rappresenta per tutte le persone un efficace strumento per informarsi, acculturarsi, comunicare, relazionarsi ed operare in qualsiasi ambito della vita. Esso consente di aprirsi senza limiti agli ampi scenari della realtà sociale, politica, economica, culturale di oggi. Anche i consacrati si avvalgono di questo strumento come favorevole aggancio al mondo per conoscerlo e interpretarlo, anche alla luce del messaggio evangelico, rispondendo alle diverse domande che esso presenta alla fede: anzi veicolando così la stessa fede.

Bisogna però considerare tra l’altro che questo mezzo di comunicazione sociale di massa - insieme alla televisione, al cinema, alla stampa, alla telefonia, etc. - permette con particolare facilità di accedere a innumerevoli contenuti e possibilità relazionali inerenti il campo della vita affettiva (contatti, intrattenmenti, scambi tra persone attraverso i social network) e sessuale (consultazione di informazioni e sussidi multimediali; condivisione di materiali audio e video; navigazione in siti; contatti con impiego di chat-line a sfondo erotico; downloading e acquisto di materiale pornografico; fruizione di prestazioni sessuali online; etc.)[42].

Da ciò ne consegue logicamente che l’uso di internet rappresenta una sfida impegnativa per chi voglia vivere in modo maturo ed equilibrato la propria affettività e sessualità: soprattutto per il consacrato che è chiamato a vivere la castità. Consideriamo alcune ragioni che rendono impegnativa tale sfida.

Innanzitutto la possibilità di utilizzare la rete per usufruire di contenuti ed intraprendere scambi relazionali attinenti la dimensione affettivo-sessuale risulta essere facile e praticamente priva di limiti. In secondo luogo è assai alto il rischio di perdere di vista il confine tra conoscenza mediatica sull’affettività e la sessualità a sfondo educativo e l’insidioso campo dell’erotismo e della pornografia virtuale. In terzo luogo, la rete impone in ogni caso all’attenzione della persona continui stimoli affettivo-sessuali (per esempio veicolati dalla pubblicità oppure della cultura di costume) senza il benché minimo rispetto della sua libertà di coscienza. Di conseguenza il carattere estremamente pervasivo di questo tipo di messaggi e contenuti causa una notevole pressione psicologica, che a lungo andare mette a dura prova la capacità di reagire ad un loro eventuale coinvolgimento.

Inoltre in personalità particolarmente fragili oppure in coloro che vivono una qualche forma di disagio (difficoltà comunicativa e relazionale, disistima, conflittualità, depressione, rapporto controverso con l’affettività e la sessualità, etc.) l’utilizzo compensatorio di internet a sfondo affettivo-sessuale può favorire - soprattutto con il vantaggio dell’anonimato - comportamenti negativi come: isolamento, chiusura in un mondo irreale, evitamento del contatto diretto con la vita concreta, restringimento delle ordinarie relazioni sociali, indisponibilità al dialogo e al confronto, delega delle responsabilità, dipendenza affettivo-sessuale dalla rete, deriva verso la perversione[43].

Ma per sconfinare in modo inopportuno nel mondo dell’affettività e della sessualità virtuale non basta pensare solo a situazioni di fragilità o di disagio. Bisogna riconoscere che a questo si può arrivare anche per uno sconsiderato interesse a voler arbitrariamente esplorare le proposte del cyberspazio[44].

Utilizzare internet è lecito e assai necessario. Il consacrato, come ogni persona matura e responsabile dal punto di vista affettivo-sessuale, deve saper gestire il suo rapporto con la rete tenendo sempre in debito conto la ragionevolezza e la coerenza con cui prende la decisione di servirsene, mai trascurando la necessaria prudenza.

5. La castità consacrata in rapporto al discernimento e alla formazione

La castità consacrata è una disposizione umana e spirituale che deve essere vagliata attraverso un chiaro discernimento tale da condurre il giovane candidato alla vita religiosa, in particolare francescana, ad una conoscenza della propria condizione affettivo-sessuale. Tale condizione deve essere successivamente sviluppata attraverso una specifica formazione che conduce il frate minore a esprimere e gestire la propria affettività e sessualità nell’ampio raggio delle relazioni che caratterizzano la sua consacrazione, soprattutto in vista della professione perpetua dei voti[45].

Per quanto attiene al discernimento del giovane candidato alla vita religiosa francescana, oltre alla verifica delle motivazioni strettamente vocazionali, sono assai necessarie la comprensione e valutazione del suo profilo umano, in vista dell’assunzione particolare dell’impegno nella vita di castità e anche in quella fraterna.

Per tale scopo è utile avvalersi innanzitutto dell’approfondita conoscenza del giovane, della sua presente condizione di vita e della sua storia delineando nel contempo il grado di maturità del suo sviluppo affettivo-sessuale.

Gli strumenti da utilizzare in questo senso possono essere i seguenti: scheda personale dei dati generali riguardanti il candidato; curriculum di studio/lavoro; certificazione medica sulle attuali condizioni psicofisiche del candidato e breve storia clinica riguardante il suo sviluppo; certificazione del casellario giudiziale; storia personale/familiare del candidato (con particolare attenzione a situazioni inerenti: adozione, carenze affettive, maltrattamento, separazione-divorzio dei genitori, malattia fisica, disturbo psichico, problemi d’identità, dipendenze, lutto, illegalità, etc.); relazione sull’iter di maturazione cristiana e di accompagnamento vocazionale (iniziazione e pratica della vita di fede; formazione morale; motivazioni della scelta religiosa; valutazione dell’esito di precedenti esperienze avute in seminario/altri istituti religiosi); lettere di presentazione redatte da persone che possono garantire un’adeguata conoscenza del candidato (parroco, docente, dirigente scolastico, datore di lavoro, operatore pastorale, etc.); osservazione della capacità di adattamento del candidato alla vita comunitaria durante il periodo d’accoglienza in una specifica fraternità.

Durante la fase del discernimento è utile avvalersi di criteri che rendano possibile valutare innanzitutto il grado di maturità del giovane candidato. Essi sono: adeguato livello di sviluppo intellettivo e di valutazione critica della realtà; conoscenza realistica, sana autocritica e giusta stima di sé come persona; equilibrio tra il bisogno di essere riconosciuto, compreso, benvoluto, aiutato e la volontà di riconoscere, comprendere, dimostrare benevolenza, aiutare gli altri; adeguata preparazione culturale; libertà e responsabilità di decisione; sincerità, coerenza e capacità di attirare fiducia; equilibrata gestione degli impulsi (sessuali e aggressivi); tolleranza dei conflitti e delle rinunce; disponibilità all’intesa e alla collaborazione con gli altri; rispetto delle regole/norme sociali e dei valori morali (verità, giustizia, altruismo, perdono, etc.); apertura alla dimensione trascendente; integrazione della storia personale/familiare nel proprio vissuto umano e di fede.

La possibilità che nel profilo del giovane candidato tali criteri possano essere in buona parte confermati può consentire che egli venga ammesso al cammino di formazione.

Nella fase del discernimento si potrebbero inoltre evidenziare eventuali problemi di natura specificamente affettivo-sessuale, rappresentati ad esempio da: intensi desideri e paure legate alla sessualità; comportamenti sessuali compulsivi (mancanza di controllo dell’impulso, autoerotismo compensatorio); dipendenza affettiva; narcisismo; problemi inerenti l’orientamento sessuale (omosessualità) e l’identità di genere (non integrazione del sesso biologico con quello psichico); perversione, promiscuità, abuso, pedofilia; dipendenza alimentare, da alcool, da altre sostanze; tendenza autoaggressiva. Tali problemi, che in linea di principio non sono compatibili con la scelta della castità, richiedono di essere attentamente considerati ricorrendo al parere di persone esperte.

In ogni caso, qualora non venisse confermato un sufficiente livello di maturità umana e soprattutto ci si trovasse di fronte ai problemi affettivo-sessuali sopramenzionati, è opportuno dissuadere il candidato dal continuare il suo percorso.

Accertata invece la possibilità di poter abbracciare la vita religiosa francescana, dopo la fase del discernimento preliminare, la formazione del frate minore, specie nella fase iniziale (dal noviziato in poi), deve puntare all’ulteriore conoscenza ed esercizio della sua dimensione affettivo-sessuale soprattutto collegandola con il valore spirituale della scelta di consacrazione (cf Cost. 172,3).

Affinché percorra in questo senso un conveniente iter formativo, tale da condurlo nel tempo alla professione perpetua dei voti, il frate minore in formazione iniziale deve essere aiutato a indirizzare la sua affettività e sessualità con maggiore consapevolezza, libertà e responsabilità. Questo prevede il successivo sviluppo di alcune peculiari capacità[46].

5.1 Capacità di conoscere ulteriormente se stesso

Per arrivare ad una migliore conoscenza di se stesso, nella fase della formazione, il frate minore deve essere guidato alla consapevolezza di aver abbastanza maturato o di dover ancora maturare le seguenti caratteristiche della sua vita affettiva e sessuale: rispetto della corporeità; chiaro apprezzamento della complementarietà tra uomo e donna; capacità di gestione delle spinte sessuali e aggressive; rapporto integrato tra emozioni, sentimenti e bisogni affettivi (vicinanza, familiarità, intimità, condivisione, sostegno, etc.); accettazione e stima di se stesso; equilibrata relazione con gli altri (considerandone l’età, il livello di sviluppo, la condizione, le necessità, le difficoltà, i diritti, le aspirazioni, etc.); disponibilità al dialogo, al confronto, a lasciarsi mettere in discussione con serenità, accogliendo la correzione; capacità di vivere in modo essenziale, con progressivo distacco dalle cose; disposizione all’impegno, assumendo le responsabilità fino al loro compimento e collaborando in vista di questo con gli altri; conoscenza e stima della differenza culturale degli altri; forza d’animo nell´affrontare fatiche, prove, insuccessi; apertura verso gli altri, contribuendo a costruire con essi un clima fraterno; accettazione della solitudine affettiva; disponibilità nel condividere il tempo e le qualità personali; retto uso del ruolo ricoperto; proporzionato rapporto tra interessi, aspirazioni personali e doveri comuni; collegamento dell’esperienza passata con il presente, in vista del futuro; coerenza con i valori di riferimento e con il significato della scelta di vita; etc..

5.2 Capacità di prevedere e affrontare eventuali difficoltà in ambito affettivo-sessuale

Nella fase della formazione il frate minore deve essere guidato a prevedere e affrontare eventuali difficoltà che possono interessare la sua dimensione affettivo-sessuale senza minimizzarle o tralasciarle ma decidendosi di fatto a superarle, anche attraverso un aiuto esterno.

Oltre a quelle finora accennate, ulteriori difficoltà inerenti la sfera dell’affettività e della sessualità possono essere rappresentate da: ricerca del piacere come compensazione riguardo a difficoltà nelle relazioni o nelle situazioni di vita; ignoranza, pregiudizio, paura, vergogna, disprezzo, repressione forzata, esclusione dalla consapevolezza nei confronti della sessualità (con il rischio di perdita di controllo); inclinazione a privilegiare i propri bisogni; difficoltà a immedesimarsi e a tener conto della condizione dell’altro (libertà, bisogni, diritti, aspirazioni, necessità, etc.); tendenza a giustificarsi, a criticare, a voler prevalere; uso arbitrario del ruolo per ottenere assenso, controllo, vantaggio; dipendenza sessuale (cybersexual addiction) indotta dall’uso indiscriminato di internet, dei social network, etc.; incapacità a considerare realisticamente le richieste derivanti dall’assunzione continuativa dell’impegno a vivere la castità.

5.3 Capacità di essere responsabili dei propri atti

In terzo luogo, lungo il suo iter formativo, il frate minore deve essere guidato nel maturare ulteriormente la capacità di essere responsabile dei propri atti in ambito affettivo-sessuale. Tale maturazione richiede che egli abbia sempre maggiore consapevolezza/controllo della sua dimensione affettiva e sessuale, tenendo chiaro che le conseguenze dei suoi atti sono attribuibili unicamente a lui. Per questo è necessario fornirgli preventivamente tutte le necessarie spiegazioni circa: il significato e la dinamica dell’affettività e della sessualità; il giusto orientamento che egli deve assumere affettivamente e sessualmente nel rapporto con le diverse persone, secondo quanto prevede la scelta della castità consacrata; le deviazioni che possono verificarsi in ambito affettivo e sessuale, considerandone i possibili danni per se stessi e per gli altri.

La consapevolezza della propria fragilità deve mettere bene in guardia il frate minore dall’esporsi a situazioni che comportano rischio in campo affettivo-sessuale evitando di conseguenza che tali atti degenerino nello scandalo causando discredito sulla sua figura, sul valore della sua testimonianza, sull’efficacia del suo operato (cf Cost. 172,7).

5.4 Capacità di creare e mantenere buone relazioni

Infine, per tener fede alla scelta della castità il frate minore in formazione deve essere guidato a maturare ulteriormente la capacità di creare e mantenere adeguati rapporti sia in fraternità che esternamente ad essa: questa è l’espressione più indicativa di un’affettività viva e di una sessualità equilibrata, che alcuni specifici atteggiamenti di natura affettiva e relazionale sottolineano.

Questi atteggiamenti permettono, specie nella fase della formazione, di tastare il polso alla competenza relazionale del frate minore, valutandone lo stile comunicativo e il grado di crescita nello stabilire e mantenere vincoli fraterni. Esaminiamo in breve questi atteggiamenti, che indicheremo secondo una duplice polarità (“positiva-negativa”), avvalendoci di un noto contributo sull’argomento[47].

a) Fiducia (v.s. difesa). Un atteggiamento di fiducia nasce innanzitutto da una percezione positiva di se stessi e dell’altro. La fiducia genera serenità, rimuove la paura, rende possibile l’incontro. Essa è una sorta di fede e di speranza che permette di condividere con l’altro quello che si è e quello che si ha (in termini umani e spirituali), senza chiedersi quale guadagno o perdita può derivarne. La fiducia rende anche possibile una continua costruzione del rapporto, poiché facilita l’accoglienza di risvolti sempre nuovi e creativi nella relazione.

Invece un costante atteggiamento di difesa (chiusura, reazione) nella relazione indica innanzitutto la mancanza di una chiara conoscenza di se stessi e dell’altro; poi un’incapacità a svincolarsi dalla percezione del proprio limite e del limite dell’altro. Difendersi è segno d’indisponibilità a: volersi coinvolgere nel rapporto mettendo in conto aspetti critici di se stessi e degli altri; dover uscir fuori dalle proprie sicurezze; dover far fronte alla possibilità di non essere compresi, accettati, corrisposti; gestire l’impegno a dare più che solo a ricevere. Chiudersi in difesa implica un profondo bisogno di autoconservazione, condizionata dal carattere spontaneo delle nostre emozioni profonde (rabbia, paura, tristezza). Tuttavia il ricorso ad un continuo atteggiamento di riserva e distanza nella relazione con l’altro (talvolta fino alla diffidenza) non fa che aumentare ulteriormente l’incertezza personale, suscitando reciproche difficoltà.

b) Accettazione (v.s. giudizio). Accettare e apprezzare l’altro rappresentano atteggiamenti che favoriscono la rinascita del suo valore personale. Vuol dire accoglierlo nella sua propria realtà, per quello che è, nella sua singolarità e unicità. L’accettazione non classifica l’altro per schemi ma tende ad ascoltarlo e comprenderlo empaticamente. Ne rispetta i pensieri, i sentimenti, la volontà, le aspirazioni, la condizione (con i suoi successi e fallimenti), etc.. Tiene conto anche della libertà che l’altro ha di sbagliare, ma senza giustificarla. Riconosce la ricchezza delle qualità espressive dell’altro, anche quando questi non sa di possederle.

Riconoscere senza timore il valore dell’altro è un’azione di grande coraggio e umiltà perché presuppone un continuo decentramento da se stessi, facendosi termine di paragone del grado di stima nei propri riguardi.

Chi invece si lascia continuamente orientare da un atteggiamento di giudizio, o anche pregiudizio, guarda gli altri attraverso la lente rigida del proprio modo di vedere, come se questo fosse capace di circoscrivere la complessità della realtà. Tale atteggiamento è tipico di quelle personalità che rimangono ancorate a se stesse, a principi e visioni irriducibili che non sanno o vogliono mettere in discussione. Lo si riscontra in persone dominate dall’insicurezza, dalla rabbia, dalla presunzione, dal disprezzo, dal senso di superiorità, dal perfezionismo, del legalismo, etc.. Questa posizione relazionale rende particolarmente difficile comunicare, dialogare, giungere a conclusioni e impegni comuni ma soprattutto a favorire vicinanza.

c) Parità (v.s. superiorità). Chi assume un atteggiamento di parità con l’altro dimostra in genere di non essere legato alla preoccupazione di difendere la propria immagine o il proprio ruolo, poiché di fatto non vi s’identifica del tutto. È invece interessato più ai contenuti, ai valori e agli obiettivi della relazione. Parità indica soprattutto capacità di allineamento e intesa da parte di una persona che sa mettersi in discussione; non ha verità incrollabili da affermare o difendere; non ha risposte definitive; riconosce i diritti e i doveri propri e altrui; sa impegnarsi a collaborare con l’altro avendo fiducia che in tal modo si possano raggiungere risultati migliori.

L’atteggiamento di superiorità è frutto di un’ipervalutazione delle proprie qualità personali, delle proprie abilità, del proprio ruolo, della propria attività, dei propri risultati, della propria esperienza, etc.. La superiorità pretende di avere un potere di giudizio, selezione, ridimensionamento, marginalizzazione e controllo sull’altro. Le persone che la subiscono si sentono svalutate, offese, impedite, strumentalizzate: private del loro diritto di pensare, sentire, esprimersi, prendere decisioni e fare scelte. Di conseguenza quest’atteggiamento comporta l’insostenibilità e la degenerazione del rapporto. Esempi specifici di superiorità sono rappresentati dalla noncuranza, dall’ironia oppure dalla critica sprezzante.

d) Empatia (v.s. indifferenza). L’empatia consiste nel cogliere il vissuto dell’altro con un atteggiamento di immedesimazione e comprensione. Essa permette di aprirsi a ciò che attiene alla realtà dell’altro (identità, storia, condizione di vita, cultura, orizzonte di valori, pensieri, vissuti, decisioni, esperienze, problemi, attese, etc.). Più che conoscere e capire, l’empatia è appunto un “comprendere”, una sensibile capacità di accogliere e intuire l’altro facendo contatto con la sua soggettività profonda.

L’indifferenza è invece una grave espressione di disinteresse, indisponibilità, disprezzo, rifiuto nei riguardi dell’altro. Essa rappresenta una vera e propria negazione della sua stessa presenza, prima ancora che del suo valore. A differenza del rapporto di amore - o, malgrado tutto, di avversione -, in cui l’altro è reso degno di considerazione, l’indifferenza è la negazione di questa possibilità.

e) Spontaneità (v.s. manipolazione). La persona che sa relazionarsi in modo spontaneo comunica la sua capacità di essere autentica e sincera. Essa non pone schermi tra la sua intenzionalità e la possibilità di condividerla in modo chiaro e coerente. Per quanto non sia possibile rendere ogni cosa di dominio pubblico, la spontaneità non dimostra di avere secondi fini e di agire per seconde vie. Essa resta fedele a ciò che nel rapporto si è arrivati chiaramente a condividere e su cui si è trovato un accordo, anche a costo di sacrificare l’interesse personale.

Chi utilizza la manipolazione all’interno dei rapporti si muove attraverso l’ambiguità, l’inganno, il compromesso, la lusinga, l’elogio, la seduzione, il vittimismo, il falso pentimento, etc. usando la relazione come una sorta di abile travestimento, strumentale ai suoi personali intendimenti. Questi rifugge il confronto chiaro e usa il ragionamento aprendosi a significati e scopi poco definiti. Alla fine non dimostra coerenza tra la parola dichiarata e il comportamento manifesto. Di fronte ad una persona manipolativa non si può essere spontanei e capaci di fiducia: un senso d’incertezza attraversa il rapporto, generando considerevole diffidenza.

f) Flessibilità (v.s. inflessibilità). Dimostra flessibilità chi tende continuamente a creare equilibrio nella relazione accordando la complessità di sé, degli altri e delle situazioni. La persona flessibile, pur avendo una sua prospettiva, non l’assolutizza ma si sforza di comunicarla e condividerla accogliendo possibilmente quella dell’altro e favorendo insieme a questi una comune ricerca di significato. Dunque, alla «verità» delle cose (dal punto di vista strettamente umano) ci si arriva solo attraverso la sintesi condivisa delle conoscenze e delle esperienze, facendo salva l’assolutezza dei valori di riferimento. Allora si può ben comprendere come il cammino verso la verità implichi necessariamente quello verso la comunione.

L’inflessibilità relazionale è tipica di una persona che vede nel rapporto e nel confronto con gli altri un pericolo alla sua integrità. Insofferenza, intolleranza, autoritarietà, dogmatismo, fondamentalismo, presunzione, ricerca di consenso, paura del cambiamento, controllo delle persone e delle situazioni, etc. sono solo alcuni degli atteggiamenti che contraddistinguono quella che in fondo rappresenta una complessa problematica affettiva: vale a dire l’incapacità di aprirsi alla diversità e alla ricchezza degli altri. Infatti, sebbene quest’atteggiamento sembri riguardare nello specifico la difficile accoglienza del punto di vista altrui, in realtà esso si estende anche alla generale accoglienza dell’altro in quanto tale, con evidenti ripercussioni sulla vita di carità. È ovvio quindi che ad un certo punto la relazione diventi difficile, se non addirittura conflittuale o distruttiva.

Relazionarsi con la diversità e la ricchezza dell’altro è una spinta dinamica verso la matura integrazione della nostra conoscenza, affettività, sessualità, volontà e socialità a livelli sempre più alti. È una difesa contro la sterile chiusura nel pensiero assoluto, nell’autosufficienza, nell’appiattimento sui bisogni elementari. Alla fine essa restituisce valore a noi stessi, quando cresciamo nella cura del valore dell’altro.

L’esercizio di questi atteggiamenti affettivi e relazionali non è sempre facile. Esso richiede una particolare disponibilità alla revisione personale e una decisa volontà di crescita, affidate a profonde spinte affettive e soprattutto spirituali. Una persona che voglia perfezionarsi nella capacità di stabilire e mantenere vere relazioni con gli altri dimostra di voler arrivare ad: una conoscenza chiara e un’accettazione serena di sé e degli altri; un coinvolgimento emotivo per lo più positivo, che escluda la paura e la prevaricazione; un desiderio di costruire la comunione attraverso gesti di riconciliazione e di realizzare l’amore fraterno attraverso atti di generosità.

Nell’ambito della vita di fraternità, le relazioni rappresentano dunque un campo di verifica e ulteriore esercizio della capacità che il frate minore ha - in ragione della sua affettività - di accogliere, comprendere, dimostrare benevolenza, aiutare i fratelli rinunciando all’amor di sé, in vista di potersi poi attendere l’eventuale beneficio della libera disponibilità dei fratelli nei suoi riguardi.

Proprio attraverso l’amore e il servizio che i fratelli sapranno vicendevolmente corrispondersi sarà anche possibile sostenere la loro vita di castità. In tal senso i ministri e i guardiani devono cercare sempre l’occasione di ricordarlo alla fraternità (cf Cost. 172,5). In questo modo si porranno le premesse per sviluppare sinceri e significativi rapporti di amicizia capaci di dare davvero pienezza alla vita (cf Cost. 172,6).

L’amicizia semplice e lieta tra confratelli è una risorsa umana e spirituale necessaria per custodire e promuovere vere relazioni; e anche una prova evidente della forza unificante dell’amore di Dio. Essa deve essere manifestata verso tutti i membri della fraternità, superando ogni particolarismo.

Anche i rapporti di amicizia che il frate minore intrattiene con le persone esterne alla fraternità rappresentano un’opportunità per verificarsi e arricchirsi affettivamente. È importante però che egli stesso venga da queste persone rispettato nella sua identità e condizione mentre egli si dispone a garantire loro accoglienza, ascolto, comprensione, sostegno ed esperienza spirituale, in base a legittime attese e necessità. Un’incapacità o difficoltà in tal senso deve essere tenuta particolarmente in conto, soprattutto nelle diverse fasi del cammino formativo, anche in vista del futuro impegno pastorale. In ogni caso quel che conta, nei rapporti interni o esterni alla fraternità, è fare attenzione a non vincolare nessuno a se stessi né consentire che questo succeda da parte degli altri (cf Cost. 173,5).

Qui non si può trascurare di accennare anche alla triste possibilità che avvengano da parte di persone consacrate casi di abuso: questi oltre ad offendere gravemente la castità sono soprattutto lesivi della dignità, libertà e integrità delle persone più deboli, tra cui specialmente minori e adulti vulnerabili. Tale genere di atti, che costituiscono una grave forma di violenza compiuta mediante l’uso della propria autorità e in vista di un egoistico soddisfacimento di sé, provoca sofferenze fisiche e psicologiche notevoli; si verifica dopo un iniziale e insidioso adescamento, associandosi infine anche a illecito sfruttamento delle vittime (come dimostrato ad esempio dalla produzione di materiale osceno di cui si può fruire privatamente oppure online). A tale riguardo la vigile presenza dei superiori, come anche di tutti gli altri membri della fraternità, è quanto mai necessaria per poter intervenire con chiarezza e decisione in questi e altri casi (cf Cost. 172,7)[48].

Il frate minore che ha emesso la professione perpetua dei voti deve continuare ad approfondirsi e verificarsi ulteriormente, nell’ambito della formazione permanente, sulla dimensione affettiva e sessuale, tendendo sempre meglio ad integrarla in se stessa e con le altre componenti della sua persona (corporeità, emotività, pensiero, volontà, socialità, orizzonte dei valori morali-spirituali, etc.).

Inoltre egli non deve in via definitiva pretendere - come già accennato - di estromettere del tutto dalla consapevolezza quanto riguarda la sua affettività e la sua sessualità sopprimendolo forzatamente (con la conseguenza di attivare tensioni che comportano aggravio psicologico e relativo rischio di incorrere in situazioni contro la castità); né tantomeno può agire indiscriminatamente dal punto di vista affettivo e sessuale con la spontaneità propria di chi ritiene ogni cosa “del tutto naturale”.

Al contrario il frate minore mentre sottopone permanentemente la sua affettività e sessualità al controllo - cosciente, libero e responsabile - delle altre dimensioni della personalità si riferisce con interesse e prontezza ai valori, alle condizioni e ai mezzi della vita spirituale e di consacrazione affinché insieme gli assicurino limite e orientamento.

Vale ancora la pena aggiungere che, per continuare a collegare con chiarezza e coerenza la dimensione affettivo-sessuale alla scelta della castità consacrata, il frate minore di voti perpetui deve sapere che questo processo non conosce soste e può proseguire solo in ragione di forti motivazioni spirituali autenticamente vissute. Solo così è possibile di volta in volta prepararsi ad affrontare e superare le insistenti richieste delle pulsioni istintuali che non vengono mai meno, mentre d’altra parte continuano a realizzarsi con libertà e intensità le esigenze della carità. Tutto questo richiede la partecipazione congiunta e l’approfondimento costante della vita spirituale, fraterna e apostolica.

In età avanzata il frate minore arriva ad una maggiore stabilità ed essenziale ridimensionamento della sua esistenza, anche in ragione del fatto che intervengono inevitabili cambiamenti fisici e psichici.

Dal punto di vista affettivo egli potrebbe essere maggiormente sensibile ad assumere atteggiamenti di individualismo, irrigidimento, chiusura, rilassamento, ritorno al passato (rimpianto e nostalgia), etc. mentre si trova anche a dover accettare l’inevitabile separazione da luoghi, ruoli, responsabilità, attività e soprattutto persone con cui aveva maturato legami significativi.

Questa fase dovrebbe condurlo ad una cosiddetta “seconda conversione”, caratterizzata soprattutto da una più intensa e costante unione con Dio e anche da un pacato e semplice rapporto con i confratelli - specialmente più giovani - con cui poter condividere i frutti della propria maturazione umana e spirituale. Mantener fede alla castità consacrata in questo periodo vuol dire, tra l’altro, testimoniare ancora la gioia derivante dall’aver vissuto in pienezza l’amore indiviso a Cristo donandolo quindi senza riserve agli uomini.

6. I mezzi umani e spirituali per custodire la castità consacrata

Esistono mezzi di diversa natura che, opportunamente associati tra loro e fattivamente impiegati, consentono al frate minore di poter custodire la sua vita di castità, evitando da una parte il rischio di disattendere tale voto e dall’altra contribuendo a rafforzarne l’integrità. Essi sono mezzi di carattere umano e spirituale (cf Cost. 171,3).

6.1 I mezzi umani

I mezzi umani rappresentano delle strategie che si avvalgono della ragione e della volontà per tutelare da eventuali deviazioni la dimensione affettiva e sessuale della persona consacrata, sempre particolarmente esposta alla fragilità. Consideriamo alcune delle più utili tra queste strategie.

Evitamento delle situazioni di rischio. Le situazioni, che pongono in serio rischio la scelta della castità e che pertanto devono essere evitate, sono innanzitutto quelle “prossime”. Queste vanno tenute sotto particolare controllo poiché per la loro intrinseca natura comportano immediata e notevole probabilità che la persona disattenda il voto di castità, lasciandosi così sorprendere dall’arrivo improvviso di uno stimolo la cui intensità è del tutto superiore alle sue difese.

Le situazioni “remote” di rischio, pur non destando sul momento particolare preoccupazione a riguardo della castità, sono per loro natura tali da condurre gradualmente a creare situazioni “prossime” oppure esporre a tali situazioni.

Le situazioni “prossime” o “remote” di rischio variano da soggetto a soggetto, per significato o intensità, e possono addirittura invertirsi. Ognuno per esperienza propria conosce di fatto quali esse possano essere. In ogni caso rifiutare con risoluta e tempestiva decisione - ma in modo sereno - tali situazioni, appena esse si presentino alla consapevolezza, rappresenta la migliore modalità per liberarsene senza conseguenze.

Custodia dei sensi esterni e dei moti affettivi interni. Le sollecitazioni che possono comportare rischio per la vita di castità possono essere particolarmente indotte dall’uso poco responsabile dei sensi percettivi esterni, tra cui la vista e il tatto.

Stimoli di natura sessuale confluiscono alla consapevolezza attraverso la vista, potenziando l’immaginazione e suscitando un’immediata reazione della funzione sessuale. La stessa cosa vale anche per quanto riguarda il tatto, che tuttavia può innescare reazioni sessuali più immediate e non sempre facilmente gestibili, poiché attraverso di esso si sollecitano direttamente zone corporee caratterizzate da notevole sensibilità.

Un’equilibrata disciplina dei sensi esterni diminuisce la possibilità di essere coinvolti dalla qualità e intensità degli stimoli di natura sessuale, rendendo più agevole il controllo dei meccanismi biofisiologici della sessualità che rimangono sempre potentemente attivi.

Bisogna però considerare che a volte tali meccanismi possono innescarsi senza il concorso della volontarietà della persona e comunque per ragioni del tutto legittime che riguardano il consueto rapporto che la persona mantiene con il mondo sociale e con la sua stessa dimensione corporea (igiene, cure, etc.). Purtroppo la cultura mediatica oggi impone fin troppe situazioni-stimolo di carattere sessuale che - come già detto - rendono decisamente difficile custodire la castità.

Per quanto poi attiene all’affettività va consigliato di avere particolare cautela nelle relazioni con le altre persone. Rispetto, delicatezza, discrezione, riservatezza, modestia, pudore, prudenza, dominio di sé, etc. - pur nella semplicità e spontaneità di quelle che devono essere le espressioni di accoglienza, benevolenza e amicizia verso gli altri - sono solo alcuni atteggiamenti utili a conservare il campo dei sentimenti libero da indebiti - quanto ancor prima inattesi - coinvolgimenti.

Questo vale in particolare per quanto riguarda il rapporto con persone dell’altro sesso. E’ infatti suggerito dalla ragionevolezza e dall’avvedutezza che un’eccessiva familiarità o simpatia espressa - più o meno consapevolmente - nelle relazioni con persone dell’altro sesso non sempre rimane priva di conseguenze. La persona umanamente e spiritualmente matura ne ha chiara consapevolezza e di riflesso sa come doversi regolare, senza per questo assumere atteggiamenti rigidi e marcate distanze in questo tipo di rapporto.

Equilibrio nelle abitudini di vita e nell’alternanza tra riposo e attività. È comprovato dall’esperienza (in modo speciale dall’ascesi) che l’equilibrio nelle abitudini di vita (ma anche nel rapporto con determinate emozioni) - noto sotto il termine di “temperanza” - apporta un favorevole aiuto alla vita di castità, perché rafforza la volontà della persona attraverso la moderata soddisfazione di certi suoi bisogni (come per esempio quelli relativi all’uso di cibi, bevande o altri generi) ma anche attraverso il dominio di certi stati emotivi (come per esempio l’ira).

Inoltre la cura della giusta alternanza tra il riposo, necessario per recuperare le forze; e l’attività, essenziale per rendere operosa e significativa la propria scelta di vita, è altrettanto conveniente per custodire la castità. Al contrario quest’ultima viene di fatto insidiata tanto dalla pigrizia e dalla superficialità nell’assolvere i compiti, che portano a dissipare tempo ed energie senza conseguire opportuni risultati; quanto dallo sfrenato attivismo che alla lunga può condurre a sovraffaticamento, caduta d’interesse e perdita della motivazione all’impegno (burnout) nei diversi ambiti della quotidianità (vita spirituale, relazioni fraterne, formazione, servizio, etc.).

In questi casi la scelta della castità può essere colpita dall’abitudine a compensare il disagio provocato da un corso di vita vuoto, inconcludente e stancante ricorrendo al momentaneo e sterile sollievo del piacere sessuale.

A custodia della castità possono intervenire positivamente, oltre a quanto detto, quelle opportunità che sono legate ad interessi e iniziative personali a carattere distensivo (sport, lettura, attività a sfondo artistiche (pittura, musica), momenti di fraternità, eventi culturali, viaggi, etc.) che permettono di recuperare serenità e arricchire lo spirito.

6.2 I mezzi spirituali

I mezzi spirituali per custodire la castità consacrata sono altrettanto e più necessari di quelli umani. Affidarsi a tali mezzi vuol dire da una parte non riporre fiducia nelle limitate capacità della persona; e dall’altra ritenere prima di ogni altra cosa che la virtù della castità è soprattutto un dono di Dio. Pertanto risulta ovvio che tale dono possa essere accolto, sostenuto e conservato in modo speciale attraverso l’intervento continuo della grazia, affinché si possa corrispondere effettivamente alla sua natura e finalità (cf Cost. 171,4). Consideriamo i principali mezzi spirituali a custodia della castità.

Vita liturgica e sacramentale. Il costante impegno nella vita liturgica e sacramentale conserva e promuove la castità, consentendo alla grazia divina d’intervenire con trasparenza e forza. Questo impegno consente di avere innanzitutto una visione più chiara ed approfondita del composito quadro della fede e provvede ad intensificare l’esperienza di Dio attraverso un percorso di purificazione e trasfigurazione progressiva. L’aumento di interesse e il fervore spirituale che ne deriva consente senza dubbio un benefico influsso sulla volontà per cui, mentre si avverte più intenso il desiderio di permanere in intima comunione con Dio in Cristo - affinché se ne ricevano i doni e assecondino gli appelli -, al tempo stesso riesce possibile poter dominare sui richiami della sensualità e delle altre tendenze egoistiche, avvalendosi della luce e del sostegno che lo Spirito Santo può apportare alla natura umana.

I mezzi di cui dispone la vita liturgica e sacramentale nel custodire e sostenere la castità sono diversi: la recita della Liturgia delle ore, l’orazione mentale, la meditazione della Parola (lectio divina), la lettura spirituale e l’approfondimento teologico (documenti magisteriali, testi di agiografia e spiritualità, scritti di santi e fondatori, saggi teologici, etc.), la partecipazione all’Eucarestia, la ricezione del sacramento della Riconciliazione, gli esercizi di pietà (Santo Rosario, Via Crucis). Particolarmente indicata in tal senso è l’adorazione eucaristica (cf Cost. 171,2).

L’esperienza dell’amore di Dio a beneficio della vita di castità è fondamentalmente assicurata dalla vita di preghiera (in comune e personale). Quest’ultima realizza un profondo contatto e dialogo interiore con Dio che comporta apertura, condivisione e disponibilità alla grazia della Parola e dello Spirito Santo. Attraverso l’assidua recita della Liturgia delle ore, che consacra e santifica il tempo quotidiano, il cuore si eleva affettivamente e spiritualmente a Dio con il ringraziamento, la lode, l’invocazione, il pentimento, la fiducia, la speranza mentre la condivisione del suo amore intenso e fedele rinnova ogni giorno il proposito di annunciarlo e servirlo[49].

L’ascolto della Parola è, per la castità, la via attraverso cui la coscienza apprende cosa significhi amare e vivere unicamente della volontà del Padre, come Cristo ha testimoniato e insegnato nel Vangelo (cf Gv 4,34). Del resto ogni rapporto d’amore è insieme esperienza di conoscenza e partecipazione. La Parola è la manifestazione delle intenzioni e degli aneliti dell’amore di Dio: da accogliere e trasformare in appassionata condivisione, corrispondenza e fedeltà nei suoi confronti. L’amore divino, accolto e vissuto nella castità, deriva tra l’altro dalla meditata comprensione e intima risonanza del valore delle parole e degli esempi di Cristo, che catturano mente e cuore suscitando il desiderio di vincolarsi a lui nell’annuncio del Regno che viene. Ogni giorno, in un cuore casto, questa Parola risuona più chiara e forte rivelando in modo inedito chi sia Dio, cosa abbia detto e fatto, cosa chieda di fare (con quali sentimenti e attraverso quali modi), a chi chieda di farlo, a favore di chi si faccia[50].

La partecipazione quotidiana all’Eucarestia rappresenta quel vincolo spirituale che assicura di potersi mantenere in costante comunione con Cristo, attingendo alla misura profonda del suo amore che rinnova il dono e il desiderio della castità[51]. Nell’Eucarestia si realizza l’intimo rapporto sponsale con Cristo da cui fluisce quella carità che, attraverso una vita casta, raggiunge tutti con libertà e generosità. In particolare la pratica dell’adorazione eucaristica consente di prolungare l’intimità spirituale con Cristo contemplando la sua presenza, dialogando con lui, ravvivando i doni del suo amore, maturando la fiducia e il desiderio di realizzarsi più pienamente in questo amore, che si fa principio di vita nuova per sé e gli altri[52].

Il sacramento della Riconciliazione consente la purificazione del cuore dagli effetti sfavorevoli dall’amore egoistico, che tenta costantemente di riprendersi ciò che gli viene negato. Accostarsi di frequente a questo sacramento rappresenta anche un’opportunità per verificare la qualità del proprio cammino di conversione, maturazione e fedeltà all’amore vero che si porta avanti attraverso l’impegno nella vita di castità. Affidarsi alla misericordia di Dio insegna a vivere e amare in maniera sensibile, compassionevole e gratuita. Ricorrere al sacramento della Riconciliazione - come anche alla direzione spirituale - costituisce oltremodo una preziosa opportunità per sottoporre la scelta della castità ad un sempre più chiaro discernimento sui tempi e i modi attraverso cui raggiungere una sempre maggiore libertà interiore, ricchezza di espressione affettiva nei rapporti fraterni e apertura ulteriore all’amore soprannaturale[53].

Devozione alla Vergine Maria. Coltivare una filiale devozione alla Vergine Maria, Immacolata Concezione, rappresenta un mezzo spirituale molto efficace per custodire e promuovere la virtù della castità (cf Cost. 170,2).

Innanzitutto, relativamente a questa virtù, la Vergine Maria interviene nella vita spirituale come modello esemplare di consacrazione da imitare. Il presupposto fondamentale di ciò sta nel fatto che la Madre del Signore rappresenta innanzitutto colei il cui amore verso Dio si trasforma in desiderio ardente di corrispondere in ogni cosa alla sua suprema volontà, vincendo ogni avverso richiamo del male e traducendo nella carità la misura piena della grazia che in lei fu riversata (cf Lc 1,28). Da questo atteggiamento di fondo derivano le fondamentali virtù che caratterizzano la fisionomia spirituale della Vergine - fede, umiltà, obbedienza, pietà, carità, fedeltà, speranza - e che concorrono a rendere la castità consacrata integra e provvida di frutti.

In secondo luogo la Vergine Maria interviene nella vita di castità corrispondendo l’aiuto della sua materna intercessione. Particolarmente attraverso la preghiera del Santo Rosario, ella può essere invocata affinché - in virtù della potente azione dello Spirito Santo - ottenga dai meriti di Cristo: la protezione e la forza nei momenti di tentazione e di prova; la fiducia e l’abbandono in Dio; la sensibilità e il fervore della vita di preghiera; la disponibilità all’ascolto e all’esercizio concreto della Parola; la consolazione e la pace del cuore; la soddisfazione nell’acquisto delle virtù e nel generoso compimento del bene.

Ascesi. La castità consacrata, in quanto dono da custodire ogni giorno, si avvale anche di un’equilibrata disciplina ascetica, utile ad allontanare il rischio di cadute nel peccato derivanti dall’egoismo affettivo-sessuale radicato nella debole natura di ogni persona e sollecitato da avverse condizioni esterne. Tale disciplina è nello specifico necessaria per sostenere e rafforzare in senso soprannaturale la volontà, consentendole un pronto e deciso contrasto della concupiscenza.

Affinché la volontà venga dunque sostenuta e rafforzata a tutela della castità, è importante che ci s’impegni nell’esercizio di alcune virtù complementari, coltivate con l’aiuto della grazia e utilizzate a seconda della loro peculiare funzione, come per esempio: umiltà (riconoscimento della propria debolezza, rifuggendo ogni presunzione); prudenza (saggezza e previdenza nel fare scelte, evitando conseguenze negative); obbedienza (dipendenza da una verità e da un’autorità che garantisce il bene); temperanza (moderazione nel soddisfacimento dei bisogni/desideri legittimi e rinuncia dei desideri non leciti), fortezza (resistenza nelle difficoltà e situazioni ostili), povertà (essenzialità), fedeltà (costante rispetto di un obbligo nei riguardi di una persona o di una decisione assunta)[54].

L’impegno nel servizio. L’assiduo impegno nel lavoro ordinario, nel ministero, nelle diverse attività di servizio e apostolato consone alla vita consacrata (manuale, intellettuale, assistenziale, sacramentale, di evangelizzazione, etc.), svolte con competenza e responsabilità, sorregge e custodisce la vita di castità attraverso la manifestazione di un “amore in azione” rivolto a tutti. Tale amore si deve caratterizzare per la disponibilità concreta e generosa a soddisfare con sensibilità e competenza i legittimi bisogni fisici, materiali, umani e spirituali dei fratelli.

Lasciandosi ispirare da questa prospettiva l’impegno nel servizio comporta: fiducia e stima nelle qualità personali; soddisfazione nel compimento delle proprie mansioni; senso di partecipazione al bene e alla gioia degli altri; ulteriore motivazione a rendere la propria attività sempre più qualificata, intensa e provvida. Questo non può che suscitare positive risonanze affettive, comportando lo sviluppo di maggiore comunione e sollecitudine verso il prossimo (cf Cost. 172,8).

Va anche precisato che l’impegno nel servizio, per quanto possa recare beneficio alla castità, può rappresentare una sorta di copertura - talvolta malcelata - a problemi affettivo-sessuali non affrontati e risolti come quando, per esempio, nell’assumere un ruolo o svolgere un compito pastorale si tende a controllare, dominare, porsi in antagonismo, strumentalizzare, ergersi a protagonista, etc.. Al contrario per condurre un servizio, che sia di edificazione e di aiuto al prossimo, c’è bisogno di un’autentica e ricca capacità d’amore umano e spirituale. In questo senso la castità consacrata può essere intesa, essa stessa, come “annuncio”, “segno” e “progetto” dell’amore di Dio per gli uomini[55].

7. La castità consacrata secondo il carisma francescano

L’approfondimento sulla castità consacrata non può prescindere dalla considerazione del valore che essa ebbe per san Francesco, il quale concepì la castità non semplicemente in termini di continenza o integrità. Per il Poverello d’Assisi la castità rappresentò innanzitutto e soprattutto una virtù interiore da assimilare al termine “purezza”: una condizione dello spirito necessaria per poter “vedere Dio”, vale a dire per averne un’esperienza talmente chiara e profonda da restituire novità, intensità, ricchezza e bontà di vita ad ogni cosa[56].

Nell’Ammonizione XVI, ispirandosi alla frase evangelica «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio» (Mt 5,8), san Francesco considera che i “puri” sono coloro che “disprezzano le cose terrene” - i vizi, i peccati, la vita secondo la carne - per custodire integro l’amore di Gesù Cristo (cf Rnb 22,5). Questi pertanto aspirano alle cose celesti divenendo adoratori, testimoni e annunciatori di Dio agli uomini. Per i puri di cuore Dio si trova al primo posto nella vita: al centro dei loro pensieri, sentimenti, volontà e azioni. Egli è la luce suprema che smaschera la menzogna e la cattiveria del peccato allontanando l’uomo dalla Parola e dai comandamenti divini, confondendolo con le vane attrazioni e le egoistiche sollecitudini del mondo (cf Rnb 22,10-25).

I puri di cuore pertanto si riconoscono per essere interiormente liberi e disponibili per Dio. Lo adorano e lo pregano con purezza interiore, «in spirito e verità» (Gv 4,23-24), raggiungendo in virtù dello Spirito Santo la grazia della familiarità con lui e della capacità di donarsi secondo la sua volontà (cf LCap 6,62-64) vincendo lo spirito della superbia, cupidigia ed avarizia.

La castità del francescano è dunque prima di ogni altra cosa “purezza di cuore”: capacità di “vedere” - credere, conoscere, amare, adorare - il Padre nel Figlio, per mezzo dello Spirito Santo[57]. Essa è dunque una disposizione interiore a permanere in un intimo e appassionato rapporto con Dio, soprattutto in virtù della preghiera, rinchiudendosi in quella segreta “dimora” rappresentata dal cuore stesso dell’uomo. Qui - secondo l’esperienza di san Francesco - il frate minore vive la comunione con la santissima Trinità, da cui sgorga sovrabbondante l’amore verso Dio e verso tutte le creature con trasparenza di espressione e intensità di sentimento. Questo amore gli consente di riscoprirsi vero figlio e pertanto fratello “universale” (cf Cost. 173,1): esso rappresenta il vincolo e la forza che gli permetterà di guidare con l’annuncio e la testimonianza tutti gli uomini al Regno di Dio in Cristo (cf Cost. 173,3).

La “purezza di cuore” è particolarmente sottolineata da san Francesco in rapporto all’Eucarestia. Essa è disposizione dell’anima essenziale per celebrare con fede il mistero e ricevere con devozione la grazia del corpo e sangue del Signore (cf LCap 2,29-30), associata anche alla “purezza esteriore” - alla castità del corpo - di modo che tutto l’uomo, nella sua unità di anima e corpo, diventi un’offerta a Dio gradita, mai servendo in alcuna parte di sé come strumento per il peccato[58].

La “purezza di cuore” è anche una lode a Dio, un’esaltazione della sua bontà e misericordia, quando si traduce in disponibilità al piano di Dio servendo in carità le creature, secondo quella universale solidarietà con esse[59] che è propagatrice di unità e pace.

In sintesi, la vita di castità del francescano si caratterizza dunque per quell’unione con Dio che conduce alla carità e da questa alla costruzione della pace universale.

Ma la castità del frate minore è anche espressione di penitenza. San Francesco non trascura di attribuire alla castità un carattere strettamente penitenziale, intendendo che in essa debbano convergere anche povertà di spirito e ascesi.

Ben a ragione si può dire, guardando a Cristo povero, che la castità è in effetti una forma di povertà - cioè di espropriazione - considerandola pertanto sia come rinuncia (al matrimonio e agli affetti famigliari) sia come consegna dell’amore di Dio ai fratelli, innanzitutto e in particolare a quelli nello spirito: un amore delicato, modesto, semplice, cortese, sincero, sensibile, pieno di umanità (cf 1Cel 38)[60].

L’ascesi, a cui si richiama la virtù della castità, è necessaria a che il tesoro della comunione con l’amore di Dio non venga disperso a causa della fragilità della natura umana, in cui tuttavia si trova ad essere custodito. La mortificazione dei sensi e il contrasto delle cattive inclinazioni costituiscono le tattiche vincenti per sventare ogni attacco della sensualità. In rapporto a questo san Francesco dimostrava di volersi sempre mantenere in atteggiamento di profonda umiltà, senza mai presumere di se stesso (cf Cost. 173,2).

In quanto partecipazione all’impegno di costruzione della fraternità universale, la castità consacrata si caratterizza nell’esperienza di san Francesco per l’accoglienza serena della figura femminile. Per quanto il santo istruisse i frati a rapportarsi alle donne con prudenza e per motivi strettamente legati al loro ministero (cf Rnb XII; Rb XI), tuttavia egli aveva verso esse un atteggiamento improntato a rispetto, delicatezza, nobiltà di cuore, sincera amicizia, trasparente condivisione spirituale[61]. Così infatti egli si mostrava da parte sua nei confronti di Chiara d’Assisi e Jacopa dei Settesoli.

Il frate minore deve ispirarsi a questo stesso atteggiamento di san Francesco impegnandosi a riconoscere alla donna, che ancora oggi subisce discriminazione e strumentalizzazione da parte del mondo maschile, quella dignità e quel ruolo che nella Chiesa e nel mondo la rendono uguale all’uomo benché differente, in ragione delle sue specifiche qualità, nel modo di contribuire allo sviluppo integrale della nuova umanità (cf Cost. 173,4).

Davvero la castità consacrata, secondo l’esperienza spirituale di san Francesco, conduce ad una vera liberazione e trasfigurazione del cuore. Per mantenere fiducia in questa possibilità è necessario sempre considerare i frutti spirituali a cui essa conduce: lode pura, preghiera ricca di impetrazione, esercizio unificato delle virtù evangeliche, carità operosa soprattutto a servizio degli ultimi (cf Cost. 174,1).

Tutto questo, per quanto richieda vigilanza e applicazione, non può che dipendere dalla libera e incessante azione dello Spirito Santo nel cuore di ogni frate minore e di ogni fraternità. A questa azione nessuno e niente deve porre impedimento (cf Cost. 174,2).


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[1] Cf CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Decreto Perfectae Caritatis, 12.

[2] Cf Vàzquez A., voce «Voti religiosi», in Aparicio Rodriguez A. - Canals Casas J. M. (a cura di), Dizionario teologico della vita consacrata, Àncora, Milano 1994, p. 1961.

[3] Cf Aparicio Rodriguez A., voce «Castità», in Aparicio Rodriguez A. - Canals Casas J. M. (a cura di), op. cit., pp. 220-221.

[4] Cf Frattallone R., voce «Castità consacrata», in Russo G. (a cura di), Enciclopedia di bioetica e sessuologia, Elledici, Leumann (Torino), 2004, p. 437.

[5] Cf GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Vita Consecrata, 16.

[6] Cf Aparicio Rodriguez A., voce «Castità», in Aparicio Rodriguez A. - Canals Casas J. M. (a cura di), op. cit., pp. 244-245.

[7] Cf Ivi, p. 241.

[8] Cf Ivi, p. 242.

[9] Cf Ivi, pp. 249-253.

[10] Cf. Frattallone R., voce «Castità consacrata», ibidem.

[11] Cf Roggia G.M., voce «Verginità», in Russo G. (a cura di), op cit., p. 1775.

[12] Cf Ivi, pp. 1776-1777.

[13]Cf Ibidem.

[14] Cf Aparicio Rodriguez A., voce «Castità», in Aparicio Rodriguez A. - Canals Casas J. M. (a cura di), op. cit., p. 263.

[15] Cf Padovese L., voce «Affettività», in Russo G. (a cura di), op. cit., p. 46.

[16] Cf Ivi, p. 47.

[17] Cf GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Familiaris Consortio, 64.

[18] Cf Vidal Garcia M., voce «Sessualità», in Aparicio Rodriguez A. - Canals Casas J. M. (a cura di), op. cit., pp. 1642-1643.

[19] Cf Ivi, p. 1640.

[20] Cf Aparicio Rodriguez A., voce «Castità», in Aparicio Rodriguez A. - Canals Casas J. M. (a cura di), op. cit., pp. 268-269.

[21] Cf Vidal Garcia M., voce «Sessualità», in Aparicio Rodriguez A. - Canals Casas J. M. (a cura di), op. cit., p. 1640.

[22] Cf Ivi, p. 1641-1643.

[23] Cf Attard F., voce «Castità», in Russo G. (a cura di), op. cit., p. 431.

[24] Cf Ivi, p. 433.

[25] Cf Ferasin E., voce «Celibato», in Russo G. (a cura di), op cit., pp. 443-444.

[26] Cf Lumen Gentium, 42-44; Perfectae Caritatis, 12; Optatam Totius, 10; Presbyterorum Ordinis, 16; cf anche Frattallone R., voce «Castità consacrata», in Russo G. (a cura di), op cit., pp. 433-434; p. 436.

[27] Cf Aparicio Rodriguez A., voce «Castità», in Aparicio Rodriguez A. - Canals Casas J. M. (a cura di), op. cit., p. 262.

[28] Cf Ivi, pp. 254-255.

[29] Cf Frattallone R., voce «Castità consacrata», in Russo G. (a cura di), op cit., p. 432.

[30] Cf Aparicio Rodriguez A., voce «Castità» in Aparicio Rodriguez A. - Canals Casas J. M. (a cura di), op. cit., pp. 270-271.

[31] Cf Ivi, pp. 266-267.

[32] Cf Ivi, pp. 264-265.

[33] Cf Frattallone R., voce «Castità consacrata», in Russo G. (a cura di), op cit., p. 434.

[34] Cf Ivi, pp. 434-435.

[35] Cf Ivi, pp. 437-438.

[36] Cf Grisez G., Le condizioni per assumere rettamente il celibato, in Seminarium 1 (2002), pp. 296-297.

[37] Cf Vàzquez A., voce «Voti religiosi», in Aparicio Rodriguez A. - Canals Casas J. M. (a cura di), op. cit., pp. 1961-1962.

[38] Cf Frattallone R., voce «Castità consacrata», in Russo G. (a cura di), op cit., p. 438.

[39] Cf Ivi, p. 436.

[40] Cf Ivi, p. 434.

[41] Cf Ivi, p. 435.

[42] Cf Bossi M., voce «Internet e sessualità», in Russo G. (a cura di), op cit., p. 1015.

[43] Cf Ivi, pp. 1016-1017.

[44] Cf Ivi, p. 1018.

[45] Cf ORDINE DEI FRATI MINORI CAPPUCCINI, Ratio Formationis, Roma, 8 Dicembre 2019, pp. 86-87.

[46] Cf Conferenza Italiana dei Ministri provinciali cappuccini, Progetto formativo dei Frati Minori Cappuccini italiani, Bologna, EDB, Bologna 2011, pp. 45-81 (parte III).

[47] Cf Franta H. - Salonia G., Comunicazione interpersonale, LAS, Roma 1979.

[48] Cf CONFERENZA ITALIANA DEI MINISTRI PROVINCIALI CAPPUCCINI, Abusi su minori e persone vulnerabili commessi da religiosi. Linee guida per le Province della CIMPCap, Roma, Aprile 2017.

[49] Cf Ridick J., I voti. Un tesoro in vasi di argilla. Riflessioni psicologico spirituali, Edizioni Piemme, Casale Monferrato, 2000, pp. 178-179.

[50] Cf Ivi, pp. 174-175.

[51] Cf GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica postsinodale Vita Consecrata, 95.

[52] Cf Ridick J., op. cit., pp. 177-178.

[53] Cf Ivi, pp. 179-180.

[54] Cf Ridick J., I voti. Un tesoro in vasi di argilla. Riflessioni psicologico spirituali, Edizioni Piemme, Casale Monferrato, 1983, p. 76-77.

[55] Cf Aparicio Rodriguez A., voce «Castità», in Aparicio Rodriguez A. - Canals Casas J. M. (a cura di), op. cit., pp. 272-273.

[56] Cf Izzo L., voce «Castità», in Caroli E. (a cura di), Dizionario francescano, EMP, Padova 1995, pp. 188-189.

[57] Cf Ivi, p. 191.

[58] Cf Ivi, pp. 196-199.

[59] Cf Ivi, pp. 201-203.

[60] Cf Idem, voce «Verginità», in Caroli E. (a cura di), op. cit., pp. 2159-2162.

[61] Cf Idem, voce «Castità», in Caroli E. (a cura di), op. cit., pp. 2164-2166.