Ordo Fratrum Minorum Capuccinorum IT

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updated 9:58 AM UTC, Apr 24, 2024

Due nuovi Venerabili

Nell’Udienza del 24 gennaio 2024, papa Francesco, ha autorizzato il Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, cardinale Marcello Semeraro, a pubblicare i decreti che riconoscono le virtù eroiche di due nostri confratelli: Mons. Cirillo Giovanni Zorhabian e padre Gianfranco Maria Chiti. 

La Causa di mons. Cirillo arriva a questo traguardo nel giorno anniversario, 120 anni fa (24 gennaio 1904) della sua ordinazione diaconale (nello stesso giorno ricevettero il suddiaconato i beati Tommaso e Leonardo Baabdath), dopo un lungo percorso non privo di difficoltà e di ostacoli, ma sempre tenuta viva nel ricordo di questo infaticabile missionario e vescovo che ha sperimentato la persecuzione e il massacro della sua intera famiglia. 

Più lineare e veloce nel suo procedere è stata la Causa di padre Gianfranco sostenuta dai suoi “granatieri” che hanno riconosciuto il lui una fede viva e forte e che si tramutava in gesti preziosi di carità. La sua esistenza, facilmente identificabile in due parti, militare e poi cappuccina, ha tuttavia una legame ed una continuità: la profonda adesione al Signore nell’ascolto attento della sua volontà e della sua parola. Attenzione e ascolto che non poteva avere come modello se non la Vergine Maria alla quale padre Gianfranco fu sempre autentico devoto. Anche nei momenti più drammatici della sua vita, come sperimentò nella ritirata di Russia o nell’internamento alla fine della II Guerra Mondiale, la Vergine Maria fu il suo rifugio e la sua guida.

Mons. Cirillo Giovanni Zohrabian

Mons. Cirillo Zohrabian, nacque molto probabilmente, il 25 giugno 1881 a Erzerum (Turchia). La sua unica scuola nella prima infanzia furono i suoi genitori, da cui imparò lo spirito di sacrificio e i primi rudimenti di catechismo e di armeno, frequentando in seguito il collegio dei Fratelli delle Scuole Cristiane. 

Nell’incontro con i Cappuccini, crebbe in lui il seme della vocazione ed il 2 settembre 1894 fu accolto nel convento di Santo Stefano a Istanbul. Ammesso al noviziato il 14 luglio 1898 gli fu dato il nome di Cirillo. Compagno di studi dei due Beati Tommaso e Leonardo da Baabdath, il 12 maggio 1904 ricevette l’ordinazione sacerdotale e, superato l’esame per i neo missionari, il 10 aprile 1905, fu destinato alla stazione missionaria di Erzerum (Trebisonda) che raggiunse il 16 luglio 1905. Qui si dedicò, oltre al ministero, all’insegnamento nella scuola da lui fondata. 

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, il Servo di Dio si trovava a Istanbul mentre si stava compiendo il genocidio armeno durante il quale tutti i suoi familiari furono massacrati. Solamente nel luglio del 1920 poteva raggiungere Trebisonda per dare aiuto ai greci armeni forzatamente espulsi dal Ponto. Ed è proprio a causa di questa opera di carità che il Servo di Dio, il 7 marzo 1923, fu cacciato da Trebisonda. Arrivato a Istanbul fu arrestato, torturato e condannato a morte. Liberato all’ultimo istante fu espulso dalla Turchia, trovando rifugio in Grecia, dove continuò a prendersi cura dei profughi armeni. Il 21 dicembre 1925, da Superiore delle Missioni per gli Armeni della Grecia, invitò ad Atene i confratelli Cappuccini di Palermo. 

Nominato Vicario Patriarcale di Gezira (Siria), il 21 novembre 1938 il Servo di Dio lasciò definitivamente la Grecia per fondare il nuovo Ordinariato. Anche in questa regione remota della Siria, il Servo di Dio si fece vicino alla gente. L’8 giugno 1940 fu nominato Vescovo Titolare di Acilisene, ricevendo la consacrazione episcopale a Beirut il 27 ottobre 1940, dove incontrò e stimò il beato Abouna Yaaqoub (Giacomo da Ghazir). Nel frattempo, era scoppiata la Seconda Guerra Mondiale e la sua salute andava sempre più peggiorando. Per questo motivo S.B. il Patriarca degli Armeni, cardinale Gregorio Pietro Agagianian, gli chiese di dimettersi. In spirito di obbedienza, il 12 giugno 1953, presentò le sue dimissioni.

Stabilitosi a Roma, il Servo di Dio fu nominato Visitatore apostolico degli Armeni dell’America Latina (1953 – 1954). Fallito il tentativo di istituire un Ordinariato in quelle regioni, trascorse gli ultimi anni della sua vita nell’infaticabile aiuto alle famiglie armene povere. Morì a Roma il 20 settembre del 1972 nel convento cappuccino di “San Fedele in Urbe”.

Il Servo di Dio fu un uomo autentico, un frate umile, un vescovo povero, un discepolo fedele di Cristo che non ha aspettato che le condizioni fossero favorevoli per annunciare il Vangelo o vivere il perdono o portare consolazione o dare il pane a chi non ne aveva, ha iniziato con quello che aveva, sempre aperto alla Provvidenza di Dio e certo che il Signore è presente, sempre! Sapeva nella sua profonda fede che trattenendo qualcosa per se stesso, il miracolo della condivisione e della bellezza di una fraternità, non sarebbero mai accadute.

Animas Deo: «Datemi anime da portare a Dio» fu il motto episcopale del Servo di Dio. In esso è racchiuso il suo spendersi per il Signore che lo aveva chiamato, come servo fedele e giusto, a condividere ed accompagnare il martirio del popolo armeno. Una fedeltà imparata fin da bambino dai genitori, Vartan e Sara Ohannessian, uccisi durante il grande genocidio, che non solo lo iniziarono con la parola all’amore a Cristo crocifisso, ma gli dettero l’esempio con il loro «martirio». Una fedeltà che non lo fece indietreggiare neppure davanti all’incarcerazione, alla tortura – sottoposto alla battitura delle piante dei piedi: 60 colpi per 5 volte – alla condanna a morte. 

I suoi piedi diventarono così l’icona della “sua passione” per Cristo e per popolo armeno. E dal Cristo, il Servo di Dio imparerà a perdonare non solo a coloro che gli avevano procurato del male, ma anche a coloro dai quali si sarebbe aspettato un aiuto concreto. 

Ammirato per la sua povertà e la sua umiltà, oggi la Chiesa riconoscendo in lui una vita vissuta nella eroicità delle virtù lo presenta a tutti i credenti quale missionario instancabile, padre amorevole e segno di pace per un mondo inquieto.

 

Venerabile padre Gianfranco Maria Chiti

Padre Gianfranco Maria Chiti nacque il 6 maggio 1921 a Gignese (Novara). Trascorse l’infanzia e l’adolescenza a Pesaro, dove il padre insegnava violino al Conservatorio di quella città. Fin da ragazzo ebbe i primi contatti con il Terz’Ordine Francescano Secolare e la Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli. 

Dopo aver frequentato la 5ª ginnasio, il 30 ottobre 1936 entrò nel Collegio Militare a Roma per essere poi ammesso a frequentare l’Accademia Militare di Modena, il 1° novembre 1939. Il 29 aprile 1941 entrò in servizio presso il 3° Reggimento della 21ª Divisione fanteria “Granatieri di Sardegna”, partecipando alle operazioni di guerra in Slovenia e sul fronte greco-albanese. Assegnato all’8ª Armata schierata sul fronte orientale partecipò alla campagna di Russia dal giugno del 1942 fino al maggio del 1943. Durante la ritirata dell’Armata Italiana in Russia rimase sempre vicino ai pochi superstiti della sua compagnia, riportando un principio di congelamento ad entrambe le gambe.

Rientrato in Italia, l’armistizio dell’8 settembre 1943 lo colse mentre era nel nord della Penisola. Fedele al giuramento fatto si mise a servizio della Repubblica Sociale Italiana operando in una unità di Granatieri. Impedì sempre ai suoi uomini di compiere atrocità, e salvò così la vita a numerosi partigiani e anche ad alcuni ebrei.

All’arrivo degli Alleati il Servo di Dio fu arrestato e, successivamente, internato nei campi di concentramento di Tombolo (Pi) e Laterina (Ar) e sottoposto a procedimento di epurazione davanti al Tribunale Militare dal quale ne uscì completamente assolto. Dal 1945 al 1948, in attesa di reimpiego nell’Esercito italiano, insegnò matematica presso il Liceo Ginnasio “Giuseppe Calasanzio” degli Scolopi a Campi Salentina (Le). Nel marzo 1948 fu reintegrato nelle file dell’Esercito Italiano su richiesta della stessa accusa e poco dopo inviato in Somalia, nazione affidata dall’ONU all’Italia dopo la fine della presenza coloniale e per il passaggio all’indipendenza. Rientrato in Italia nel giugno 1954, diresse il Corso di Allievi Ufficiali Somali presso la Scuola di Fanteria di Cesano. Dal 20 ottobre 1973 al 10 gennaio 1978 fu nominato Comandante della Scuola Allievi Sottufficiali dell’Esercito in Viterbo, quando fu messo in congedo, per raggiunti limiti di età, con il grado di generale di brigata. 

Il 30 maggio 1978 fu ammesso nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini entrando nel convento di Rieti, come postulante. Il 1 novembre 1979, al termine del noviziato, emetteva i voti religiosi, ricevendo l’ordinazione sacerdotale il 12 settembre 1982. Nel 1990, con l’aiuto dei “suoi granatieri” prese a ripristinare l’antico convento di San Crispino da Viterbo a Orvieto, trasformandolo in un luogo di preghiera e di incontri spirituali. A seguito di un incidente d’auto, avvenuto il 9 luglio 2004, fu ricoverato all’ospedale militare del Celio in Roma, dove morì il 20 novembre 2004. Fu sepolto nella cappella di famiglia nel cimitero di Pesaro.

La viva devozione eucaristica e l’affidamento materno alla Vergine Maria, sotto la cui protezione trovava rifugio con la recita del Rosario, furono gli strumenti per aderire e amare il Signore Gesù Cristo. Se per il militare Chiti ciò significava vivere in pienezza e coerentemente le virtù tipiche di questo stato: lealtà, senso dell’onore, fedeltà e coraggio; per il frate cappuccino Gianfranco Maria ciò significò vivere intensamente l’obbedienza, la povertà, l’umiltà, il dono totale di se. 

Il Servo di Dio fece suo il motto: “la vita è un dono ricevuto e una ricchezza che si deve donare”. Parole dalle quali emerge il vissuto della sua spiritualità. Quella di un uomo, militare e frate, che sa con certezza che quanto più la vita è trattenuta per sé stessi tanto più perde il suo valore, resa incapace di lascia erompere quella potenza di fuoco che è la carità, l’unico e perfetto potere dato agli uomini da Gesù che, “per volere troppo bene agli uomini patì nel Getsemani e fu crocifisso”.